Il genere dei top incomes

Atkinson, Casarico e Voitchovsky si chiedono quante donne sono comprese nell’1% più ricco della popolazione e, innovando rispetto ad altri contributi, considerano oltre ai salari anche i redditi da capitale e da lavoro autonomo. I loro principali risultati sono che la presenza femminile è aumentata nel decile più ricco ma quando si sale di percentile, i miglioramenti scompaiono. Inoltre, nei paesi Nordici, solitamente i più virtuosi nelle statistiche di genere, la percentuale di donne nei top income non è più elevata che Regno Unito o in Spagna

L’interesse per la disuguaglianza nei redditi, per come si è evoluta nel tempo e per le diverse dinamiche che caratterizzano singoli paesi si è rinnovato in maniera decisa negli ultimi anni grazie a una letteratura che, utilizzando dati fiscali, ha costruito le quote di reddito detenute dai percentili più ricchi della popolazione per numerosi paesi, su un orizzonte temporale che per alcuni di essi arriva al secolo (si veda Alvaredo et al., Journal of Economic Perspectives, 2013 e World Top Income database, http://topincomes.parisschoolofeconomics.eu/).
Nel dibattito che si è sviluppato attorno a questa letteratura e che, anche grazie al recente libro di Piketty (Il Capitale nel XXI secolo, 2014), ha raggiunto un pubblico di non addetti ai lavori, c’è un aspetto che è sorprendentemente assente: il genere. Quando guardiamo all’1% più ricco della popolazione, quante donne troviamo? C’è un soffitto di cristallo che impedisce che le donne raggiungano i percentili più alti della distribuzione del reddito e che fa ridurre la loro presenza più rapidamente rispetto a quella degli uomini quando il livello del reddito aumenta? Se le donne sono fortemente sotto-rappresentate nella coda alta della distribuzione, possono emergere interrogativi sull’equità e sull’efficienza del sistema economico complessivo, che si sommano a quelli sollevati dai differenziali occupazionali e salariali che osserviamo nel mercato del lavoro.
Per rispondere a queste domande e per studiare l’evoluzione della presenza femminile e maschile nei percentili più alti della distribuzione, dobbiamo guardare a paesi che adottano sistemi di tassazione del reddito su base individuale e che quindi consentono di distinguere tra redditi degli uomini e delle donne, perché non utilizzano come reddito imponibile il reddito familiare, ossia la somma dei redditi dei percettori appartenenti al nucleo.
In questo articolo riportiamo i risultati delle prime analisi di un progetto di ricerca che stiamo sviluppando all’INET presso la Oxford Martin School. I paesi attualmente nel nostro campione sono Australia, Danimarca, Norvegia, Nuova Zelanda, Regno Unito e Spagna. Per alcuni di essi le analisi si fondano su microdati, per altri su dati tabulati. Per alcuni paesi, come la Nuova Zelanda, possiamo risalire agli anni Cinquanta, per altri l’orizzonte temporale coperto dalle nostre analisi è più limitato e tipicamente ha inizio alla metà degli anni Novanta. Di recente abbiamo avuto accesso tramite il Ministero delle Finanze ai dati tabulati italiani distinti per genere e per categoria di reddito dalla fine degli anni Novanta e avremo quindi modo di studiare come le dinamiche relative alla presenza femminile nella coda alta della distribuzione e le caratteristiche in termini di composizione dei redditi complessivi riscontrate nei paesi finora studiati si ritrovino anche all’interno del nostro paese.
Prima di presentare i dati,  possiamo chiederci che cosa c’è di nuovo in questo tipo di ricerca e di evidenza rispetto a quanto già conosciamo sul fenomeno delle disuguaglianze di genere, in particolare nella parte alta della distribuzione.  Innanzitutto, studiamo la disuguaglianza di genere guardando ai redditi complessivi e non solo ai salari. L’esistenza o meno di un soffitto di cristallo è stata  infatti generalmente analizzata con riferimento ai redditi da lavoro dipendente (si vedano ad esempio Albrecht, Björklund e  Vroman  in Journal of Labour Economics, 2003 e Arulampalam, Booth e Bryan, in Industrial and Labour Relations Review,  2007): il termine soffitto di cristallo viene tipicamente utilizzato per riferirsi a situazioni in cui il differenziale salariale tra uomini e donne è maggiore ai livelli alti, piuttosto che ai livelli bassi, di stipendio. Nel nostro studio, l’attenzione si sposta dai salari al reddito complessivo, includendo nell’analisi il reddito di lavoro autonomo e i redditi di capitale. Nella parte alta della distribuzione queste componenti di  reddito  sono significative e potrebbero offrire un’immagine della disuguaglianza di genere diversa e comunque più ricca rispetto a quella che possiamo cogliere soffermandoci unicamente sui salari. La legislazione sulla parità salariale o sulle discriminazioni sul posto di lavoro non si applica al lavoro autonomo, che può quindi evidenziare svantaggi specifici ed ulteriori per le donne.
Nel passato, le donne possedevano quote significative della ricchezza complessiva grazie a eredità, e quindi godevano di rilevanti redditi di capitale. Possiamo chiederci se i redditi da lavoro autonomo o da capitale  delle donne hanno controbilanciato o, invece, rafforzato  le tendenze alla riduzione del differenziale salariale di genere osservato in molti paesi dell’OCSE.  Un altro elemento di novità della analisi risiede nel fatto che questo è il primo studio in cui dati fiscali relativi ai top incomes vengono raccolti e studiati in un’ottica di genere, ampliando le conoscenze che questa letteratura ha fornito sul fenomeno della disuguaglianza complessiva.
Ma cosa dicono i dati? Nella Figura 1 riportiamo la composizione per genere dei gruppi che occupano la parte alta della distribuzione del reddito nel Regno Unito dal 1995 al 2011. Da essa possono essere tratte due conclusioni: la prima è che la percentuale di donne nei gruppi che detengono redditi elevati è cresciuta nel periodo che va dal 1995 al 2011. Nel 1995/96 le donne rappresentavano il 20% del decile più elevato mentre nel 2011 questa percentuale è salita al 28.3%; le donne erano il 10.7% del percentile più elevato nel 1995/96 e il 16.8% nel 2011. La seconda conclusione è che se scomponiamo ulteriormente il percentile più ricco e analizziamo la dinamica nella presenza femminile al suo interno, notiamo che gli incrementi sono molto più contenuti e la crescita molto meno visibile. Per lo 0.1% più ricco della popolazione, non c’è alcun cambiamento significativo nella presenza femminile tra il 1995/96 e il 2011. Le donne sono quindi tanto meno rappresentate quanto più si sale nella scala dei redditi. Nel 1995/96, spostandosi dal decile più ricco allo 0.5% più ricco, la presenza femminile scendeva di 9 punti percentuali. Nel 2011 il confronto equivalente vede la percentuale femminile scendere di 14 punti percentuali, suggerendo che il fenomeno del soffitto di cristallo potrebbe essere diventato più serio.
Evidenze simili si riscontrano analizzando i dati danesi dall’inizio degli anni Ottanta: la percentuale di donne che detengono redditi elevati aumenta nel periodo considerato ma la crescita è pressoché nulla se guardiamo ai percentili più elevati. Paesi come la Danimarca e il Regno Unito, molto diversi in termini di disuguaglianza complessiva, mostrano quindi andamenti simili quando si studi la dimensione di genere del fenomeno. E la Norvegia, paese spesso considerato virtuoso sul fronte delle statistiche di genere, in base ai nostri dati ha percentuali di donne nei percentili più elevati inferiori a quelle inglesi e danesi, e soprattutto a quelle spagnole. La Spagna emerge come un paese in cui, nell’ultimo decennio, gli aumenti nella presenza femminile nella parte alta della distribuzione sono stati i più significativi. Dove starà l’Italia?
Un altro elemento conoscitivo interessante viene dai dati storici della Nuova Zelanda: solo in questo paese e fino all’inizio degli Anni Settanta osserviamo più donne nell’1% più ricco della popolazione che nel 10% più ricco. Questa evidenza non è presente in nessuno degli altri paesi per nessuno dei periodi considerati: osserviamo sempre più donne nel 10% più ricco che nell’1% più ricco della popolazione. L’accesso a breve ai dati storici del Canada dovrebbe aiutarci a fare luce su questa evidenza: se si tratti di un episodio sporadico relativo alla Nuova Zelanda, oppure di un cambiamento nel tempo del comportamento di uomini e donne al top.
Se c’è stato un miglioramento nella posizione delle donne ai bassi ma non agli alti percentili tra i redditi elevati, possiamo interpretare questi risultati come evidenza della presenza di un soffitto di cristallo? Per rispondere è necessaria  ulteriore ricerca. Riteniamo sia importante esaminare il fenomeno del soffitto di cristallo non solo in relazione alla distribuzione salariale ma anche a quella dei redditi complessivi. L’evidenza disponibile dimostra che la presenza femminile nel decile più alto è aumentata nel tempo, ma il progresso è molto più lento o addirittura assente quando guardiamo a percentuali sempre più ristrette in cima alla distribuzione. Cosa resta da fare? L’analisi finora condotta aggiunge elementi conoscitivi al fenomeno della disuguaglianza di genere. Una volta concluso il quadro e indagato, in particolare, come nel tempo siano cambiate le fonti di reddito per le donne al top rispetto agli uomini (ad esempio, nel Regno Unito le donne derivano una percentuale più elevata dei loro redditi dal capitale rispetto ai salari), restano da individuare le ragioni delle differenze e delle somiglianze nel tempo e tra paesi. Differenze nella legislazione, nei sistemi fiscali, nella struttura produttiva sono possibili candidati.

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