Il cinema italiano e la narrazione della corruzione

Giambattista Avellino con la sua competenza di regista e sceneggiatore analizza un importante collegamento tra cultura e corruzione, cioè il modo e la frequenza con cui il cinema italiano affronta questo fenomeno. Egli sottolinea, in particolare, che nella nostra tradizione cinematografica prevale la commedia che presta scarsa attenzione alle tematiche sociali. Vige,, cioè, quello che egli chiama “il regime della commedia” che, però, rischia di trasformarsi sempre più in “commedia di regime”.

Quanto il cinema italiano racconta un fenomeno così rilevante come la corruzione? In quale misura è tema della sua narrazione, in una qualsiasi delle forme in cui si presenta, dalla tangente al favore, alla semplice contaminazione dei comportamenti?

Nei 100 film italiani di maggiore incasso degli ultimi 4 anni, 10 hanno un’attinenza con questo tema. Questo senza fare distinzione sull’importanza e la profondità con cui è stato affrontato l’argomento, né discriminando tra i diversi generi e qualità dei film (per citarne solo alcuni: Qualunquemente con Antonio Albanese, Draquila di Sabina Guzzanti e Benvenuto, Presidente con Claudio Bisio).

Tirando le somme poco più di 2 film l’anno si occupano del problema. In buona sostanza il cinema italiano si disinteressa di un fenomeno così vistoso.

Regime della commedia

Il nostro cinema sembra in generale poco preoccupato di guardare e interpretare la realtà che lo circonda.

Nella Top 20 del box office in Italia del quadriennio 2009-2013 un quarto dei film sono italiani. Su 25 film, 14 sono comici (spesso scritti, diretti e intrepretati da comici), 9 commedie brillanti (quasi sempre multi-strand o con protagonista di gruppo, come il cinepanettone o i film di Fausto Brizzi, ad esempio). Solo 2 film non appartengono a queste categorie ristrette (Baciami ancora di Gabriele Muccino e Baaria di Tornatore, una commedia sentimentale e un film in qualche modo “storico”).

Il “regime della commedia” in Italia è assoluto.

Commedia di regime

Questo fatto in sé e per sé non è negativo: la “commedia all’italiana” degli anni ‘60/’70 (i film di Scola, Monicelli, Risi, e via dicendo, con Sordi, Tognazzi, Gassman, Manfredi, ecc.), aveva una vera capacità di re-interpretazione del reale e un’attitudine anche spietata alla critica dello stato di cose presenti.

Oggi, invece, è più adeguato dire che “regime della commedia” significa “commedia di regime”, per la scarsa volontà di volgere il suo sguardo su temi e problematiche sociali, per la preoccupazione di non disturbare il conducente”. E questo anche nel cinema d’autore italiano, che si occupa prevalentemente di problemi di natura sentimentale, privata, personale, a discapito della sfera etica, pubblica e sociale spesso trascurata. Sono eccezioni alcuni dei film di Sorrentino (La grande bellezza), Luchetti (La nostra vita) o Bellocchio (Bella addormentata, Buongiorno notte), ma si contano sulla punta delle dita di una mano.

Canaglie vs Onesti

Perché questo disinteresse, questa “superficialità” del cinema italiano dovrebbe essere un problema?

Platone ne La Repubblica per tramite di suo fratello Adimanto sfida Socrate a dimostrare che un uomo giusto con una cattiva reputazione è più felice di un uomo ingiusto ritenuto da tutti una brava persona. E’ preferibile essere per tutta la vita persone giuste e di specchiata onestà eppure considerati da tutti canaglie o essere dei mascalzoni, imbrogliare e mentire senza scrupoli e invece essere visti come modelli di virtù?

Socrate, e con lui Platone, ha delle convinzioni sulla natura umana e la forza della ragione e la sua capacità di controllare passioni e desideri e quindi guidarci a fare la cosa giusta e non quella che ci rende popolari.

Conformismo virtuoso

Gli studi della psicologia moderna hanno smentito questa illusione: una pluridecennale serie di esperimenti e test ha dimostrato con certezza che se le persone sono certe dell’anonimato la maggior parte di esse imbroglia. Quando invece la loro reputazione è in ballo la percentuale di furbi e scorretti precipita vertiginosamente. E’ una sorta di conformismo virtuoso che fa agire in modo corretto: siamo attenti a quello che gli altri pensano, ci preoccupiamo dell’opinione che hanno di noi.

Questo conformismo è una caratteristica sostanziale del nostro modo di essere in quanto umani: non siamo egoisti, ma gruppisti. Gli esseri umani sono l’esempio più riuscito di vita sociale non basata su legami di parentela, essendo la stragrande maggioranza degli animali gruppali, infatti, consanguinei. E’ questa capacità che è alle fondamenta del nostro successo come specie, in qualunque comunità grande o piccola in cui è agglomerata.

Il successo altruista

I gruppi umani con individui solidali e corretti verso gli altri membri erano quelli più adatti alla sopravvivenza perché più coesi e dunque più performanti. Essere percepiti come leali e corretti, avere una buona reputazione e per questo essere accettati dal gruppo, permetteva oltre che il successo di quest’ultimo la sopravvivenza individuale. Traslato ai giorni nostri, questo meccanismo è quello che favorisce il successo sociale, che sia personale, aziendale, nazionale.

La valenza sociale della reputazione è così forte da essere decisiva perfino per un criminale, il sociopatico per definizione. Anche il malavitoso ha come riferimento la reputazione di cui gode presso l’organizzazione criminale cui appartiene e/o l’ambiente da cui proviene.

In ogni modo la reputazione è un fattore di successo fondamentale e questo ci riporta verso il cinema.

I 3 guardiani della reputazione

La reputazione ha 3 guardiani:

  • Il gossip. Non inteso come quello dei rotocalchi, bensì la chiacchiera e il commentario che esercitiamo quotidianamente tra e su amici, conoscenti e parenti;
  • L’informazione. La conoscenza di cattivi comportamenti ci permette di neutralizzare chi se ne rende responsabile, il primo passo perché il danno sociale non si ripeta;
  • La narrazione. Che può fare qualcosa di diverso: mostrare o far immaginare quello che l’informazione non sa o non vuole dire.

Lì dove un’informazione condizionata, in conflitto d’interessi o incapace non riesce a contribuire alla formazione di una coscienza sociale e di un’etica civile è la narrazione che veicolando trame e personaggi modella l’immaginario collettivo e la percezione che ha di se stesso un Paese, elementi che spingono verso quel conformismo sociale virtuoso e performante cui abbiamo fatto riferimento.

Andreotti

Quando il cinema italiano ha assolto la “funzione di disturbo”, mettendo in gioco la reputazione del nostro Paese mediante la sua narrazione ha provocato la reazione precisa del sistema che veniva criticato.

Giulio Andreotti, allora sottosegretario del Governo De Gasperi, ostacolò in vari modi il cinema neorealista che trionfava nel mondo con le opere di Rossellini, De Sica, Visconti – anche con una legge che esercitava una censura preventiva sui copioni e per la quale a un film che diffamava l’Italia poteva essere negata la licenza di esportazione – perché sosteneva letteralmente, e non a caso, che: “I panni sporchi si lavano in famiglia”. E’ certamente indicativo che sia quell’Andreotti che sarà riconosciuto colpevole di associazione mafiosa negli anni in cui ricopriva le cariche di ministro e presidente del consiglio.

Come accennato anche un criminale dà grande valore alla reputazione [1. La sentenza di primo grado è del 23 ottobre 1999 ed è di assoluzione con il comma 2 dell’articolo 530 cpp, la vecchia insufficienza di prove. In appello, il 2 maggio 2003, i giudici in parte prescrivono e in parte assolvono l’ex premier. Proclamano la prescrizione per il reato di associazione a delinquere (in quegli anni non c’era ancora il reato di associazione mafiosa, 416 bis) “commesso fino alla primavera del 1980”. Per le accuse successive alla primavera del 1980, la Corte d’appello assolve sempre con la vecchia insufficienza di prove. La Cassazione conferma l’appello il 15 ottobre del 2004. Dunque Andreotti, almeno fino al 1980, ha avuto rapporti organici con Cosa Nostra].

Il Divo

Il film di Paolo Sorrentino è un esempio decisamente più recente di come agisce un sistema quando un film è disturbante e curiosamente ha ancora una volta come interprete Andreotti, anche se in quell’occasione nel ruolo di Personaggio Protagonista del film e non di Attore Principale dell’azione di censura.

Nel cinema italiano e non solo i broadcast hanno un ruolo decisivo per lo start up di un film. E’ molto difficile che un film senza il contributo Rai e Mediaset abbia il budget e di conseguenza la fattura, la confezione, per stare sul mercato e uscire nelle sale.

Sebbene il potere e l’influenza di Andreotti fossero ormai al tramonto Il Divo “disturbava il conducente”, infastidiva il sistema mettendone in cattiva luce la reputazione davanti al mondo. E per questa ragione non ha ricevuto sostegno finanziario da parte di nessuno dei broadcast: il sistema ha cercato così di impedire nei fatti e con i fatti che il film vedesse la luce. Non casualmente anche in quest’occasione è la leva economica e finanziaria che ha usato.

Evasione o impegno?

Il cinema disturbante, quello capace di dare contributo alla formazione di un’etica e di un senso civico comuni deve essere dunque difficile, con temi sociali? L’impegno deve contrapporsi all’evasione? Solo in Italia così pare debba essere. Nel resto del mondo i film di genere (detection, western, fantascienza, action, ecc.) assolvono esattamente questa funzione mettendo in scena conflitti e temi morali, ed è puro cinema d’intrattenimento. Molto del cinema hollywoodiano, quello che punta all’incasso, ha come materiale narrativo proprio la corruzione, e il genere poliziesco è il migliore veicolo narrativo per raccontare questo fenomeno.

I generi narrativi sono lo strumento per tornare a produrre film che uniscano intrattenimento ed esperienza valoriale, divertimento e coscienza critica, piacere e conoscenza. E’ quello che gli spettatori dovrebbero chiedere al cinema italiano, uscendo dalla monocoltura della commedia; è quello che gli autori vorrebbero praticare, se produttori e distributori fossero più aperti e coraggiosi.

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