Il cambiamento climatico e la sicurezza alimentare

Stefano Caserini analizza le conseguenze negative del cambiamento climatico sulle varie dimensioni della sicurezza alimentare, dalla produzione di cibo o di foraggio, all'accesso al cibo e alla stabilità del sistema alimentare. Casarini sostiene che per contrastare tali conseguenze, in un contesto di crescente competizione per la terra, l'acqua e l'energia, è necessario mettere in sinergia le politiche per la sicurezza alimentare con quelle di adattamento ai cambiamenti climatici o di loro “mitigazione”.

La comunità scientifica ritiene inequivocabile l’attuale surriscaldamento globale del pianeta e considera elevata la probabilità che nei prossimi decenni il pianeta debba fronteggiare cambiamenti climatici, originati dalle attività umane, molto pericolosi per le persone e gli ecosistemi che abitano il pianeta. Conseguenze rilevanti potranno riguardare la produzione alimentare e, con essa, la sicurezza alimentare.

Innanzitutto, alcune brevi considerazioni sul surriscaldamento globale, che è determinato dall’accumulo nell’atmosfera di alcuni gas che hanno la capacità di trattenere parte della radiazione infrarossa emanata dalla Terra: l’alterazione del bilancio energetico terrestre determina l’aumento delle temperature globali, da cui i cambiamenti del clima.

Numerosi sono i rapporti scientifici sul tema e sulla sua prevalente origine antropica. Rimanendo ai documenti più recenti, è possibile citare il “Quinto rapporto di valutazione dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, l’organismo ONU che periodicamente effettua una sintesi della letteratura scientifica disponibile, cui hanno collaborato migliaia di scienziati. Il primo volume – che sintetizza il risultato di centinaia di simulazioni modellistiche sulle proiezioni delle temperature nei prossimi secoli, realizzate da numerosi gruppi di ricerca in tutto il mondo – mostra come, in assenza di consistenti riduzioni delle emissioni, già a fine secolo l’aumento delle temperature medie globali rispetto al periodo preindustriale raggiungerà i 3 – 4°C, e proseguirà ulteriormente nei secoli successivi (Figura 1).

Impegni decisi e immediati di riduzione delle emissioni potrebbero permettere di limitare l’aumento delle temperature globali a meno di 2°C rispetto ai livelli preindustriali, ossia un aumento di poco più di 1°C rispetto ai livelli attuali. Va ricordato che questi aumenti riguardano le temperature medie globali, ossia, si riferiscono alla media delle superfici terrestri e marine. Su aree più limitate, o in singole stagioni, gli aumenti possono essere maggiori o minori, perché il riscaldamento non sarà uniforme: è probabile che sarà maggiore sulle terre emerse rispetto agli oceani, ai poli, e nelle regioni aride.

Mentre l’aumento delle emissioni dell’anidride carbonica (CO2), il più importante fra i gas climalteranti è causato quasi interamente dall’uso di combustibili fossili e dai cambiamenti di uso del suolo (es. deforestazione), gli altri due principali gas serra, metano (CH4) e protossido di azoto (N2O), sono generati principalmente dalle attività agricole (in particolare, dalle culture di riso) e zootecniche (quest’ultime fonte soprattutto di CH4). CH4 e N2O sono gas climalteranti più potenti dell’anidride carbonica nel surriscaldare il pianeta, ma hanno un tempo di residenza in atmosfera molto inferiore. Per questo, il contributo della produzione di cibo alle emissioni di gas serra è più importante nel breve periodo, mentre nel lungo periodo le emissioni di CO2 derivanti dalla combustione di prodotti fossili rappresentano il cuore del problema.

L’agricoltura e la produzione di cibo sono intrinsecamente sensibili alla variabilità e ai cambiamenti del clima, sia che dipendano da cause naturali o da attività umana. Molti studi disponibili hanno delineato probabili influenze dirette dei cambiamenti climatici sulle coltivazioni per la produzione di cibo, di foraggio o di mangimi, nonché altri impatti indiretti sullo stato di salute del bestiame, sul commercio di cibo e dei generi alimentari. Sulla questione ritorna utile il già citato Quinto Rapporto dell’IPCC il quale, nel capitolo 7 del secondo volume presenta una rassegna accurata ed estesa (circa 600 riferimenti bibliografici) di quanto è apparso nella letteratura scientifica sui temi degli impatti sulla produzione di cibo derivanti dai cambiamenti climatici, delle possibilità di adattamento e della vulnerabilità delle diverse aree. Secondo l’IPCC, gli effetti dei cambiamenti climatici sulle colture e la produzione alimentare sarebbero evidenti, con “elevata confidenza scientifica”, in diverse regioni del mondo. In particolare, eventi estremi quali ondate di calore, siccità, inondazioni, nubifragi e incendi boschivi hanno già prodotto impatti sia diretti, sulle condizioni di vita, sulla riduzione delle rese agricole, sulla distruzione di abitazioni e infrastrutture, sia indiretti, in termini di aumento dei prezzi alimentari e di insicurezza alimentare.

L’United Nations’ Food and Agricultural Organization (FAO) definisce la sicurezza alimentare come una situazione “che esiste quando tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a cibo sufficiente, sicuro e nutriente, che soddisfi le loro esigenze dietetiche e preferenze alimentari per una vita attiva e sana” (FAO, 1996). I cambiamenti climatici potrebbero avere effetti diretti e indiretti su tutte e quattro le dimensioni della sicurezza alimentare definite dalla FAO:

  1. la disponibilità di quantità sufficienti di cibo di qualità adeguata, attraverso la produzione nazionale o l’importazione di derrate alimentari;
  2. l’accesso a risorse adeguate per l’acquisizione di alimenti appropriati per una dieta nutriente, in termini sia economici (potere d’acquisto) sia di diritti tradizionali di utilizzo di risorse comuni;
  3. l’utilizzo del cibo attraverso una dieta adeguata, acqua potabile, servizi igienico-sanitari e di assistenza sanitaria per raggiungere uno stato di benessere nutrizionale in cui siano soddisfatte tutte le esigenze fisiologiche;
  4. la stabilità, ossia la capacità di superare crisi che possono portare una popolazione, una famiglia o singoli individui a perdere più o meno temporaneamente l’accesso ad un’alimentazione adeguata.

Numerosi sono gli studi che hanno stimato l’impatto dei cambiamenti climatici già avvenuti sulla produzione globale di cibo. Rimandando ad analisi più approfondite (per una rassegna degli studi disponibili si veda, ad esempio, Caserini S., Cambiamenti climatici e sicurezza alimentare, Ingegneria dell’Ambiente, vol. 2, n.1 o alcuni casi di studio raccontati su Climalteranti.it), ci si limita a ricordare come, secondo numerosi studi, i recenti andamenti climatici abbiano influenzato negativamente la produzione di grano, mais e riso in molte regioni, mentre le variazioni sono meno rilevanti nel caso della soia. Benché l’aumento delle concentrazioni di CO2 e delle temperature possa in linea di principio favorire le produzioni agricole alle alte latitudini, secondo l’IPCC gli impatti negativi sulle coltivazioni sono stati a scala globale più comuni di quelli positivi.

L’utilizzo del cibo necessario per raggiungere un benessere nutrizionale dipende dall’acqua e dall’igiene. Questi elementi sono influenzati dai cambiamenti climatici: l’assetto delle risorse idriche, infatti, dipende dalla frequenza di eventi meteorologici estremi, i quali rappresentano la causa principale nel determinare inondazioni o siccità, in particolare in ambienti dove già è carente o assente una sana igienizzazione.

L’agricoltura non è solo una fonte di cibo, ma anche un’importante fonte di reddito. In un mondo in cui il commercio è agevole, la questione cruciale per la sicurezza alimentare non è se il cibo è “disponibile”, ma se le risorse monetarie e non monetarie a disposizione della popolazione sono sufficienti per consentire a tutti l’accesso a un’adeguata quantità di cibo. L’autosufficienza alimentare di una nazione non è né necessaria né sufficiente per garantire la sicurezza alimentare a livello individuale.

Numerose linee di evidenza mostrano la serietà della minaccia che i cambiamenti climatici attesi per i prossimi decenni pongono alla stabilità del sistema alimentare mondiale, a causa della crescente domanda di cibo per sfamare una popolazione in continua crescita e della variabilità a breve termine dell’offerta di cibo; inoltre, il clima è un importante fattore nel determinare le tendenze dei prezzi delle derrate alimentari, come pure la variabilità a breve termine dei prezzi stessi.

Gli impatti potenziali sono meno chiari a scala regionale, ma è probabile che la variabilità e il cambiamento del clima potranno esacerbare l’insicurezza alimentare in zone già attualmente a rischio di fame e malnutrizione. L’accesso e l’utilizzo di cibo saranno influenzati indirettamente dagli effetti collaterali sui redditi individuali e delle famiglie, dalla perdita di accesso ad acqua potabile e dai danni alla salute.

Sono, quindi, di fondamentale e strategica importanza le azioni di adattamento, in particolare per i produttori più a basso reddito e più vulnerabili ai cambiamenti climatici, per la loro limitata capacità di investire in pratiche e tecnologie innovative in grado di affrontare le mutate condizioni climatiche e per un quadro istituzionale più carente.

In un contesto di crescente competizione per la terra, l’acqua e l’energia, è necessaria e possibile la sinergia fra le azioni per la sicurezza alimentare e quelle per l’adattamento ai cambiamenti climatici inevitabili, per la “mitigazione” (la riduzione delle emissioni di gas serra) e più in generale per contenere l’impatto del sistema alimentare sull’ambiente e la biodiversità. Questo richiederà un notevole sforzo a diversi livelli, a partire da una strategia globale multidisciplinare, che non abbia come unico obiettivo semplicemente quello di massimizzare la produttività, ma sia in grado di valutare con attenzione la distribuzione dei costi e dei benefici delle scelte che saranno compiute e i vantaggi che la protezione del clima e delle biodiversità avranno per le generazioni future.

 

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