I vantaggi della lungimiranza. Precauzione e terremoti

Marcello Basili e Maurizio Franzini illustrano le ragioni per le quali è razionale investire risorse per prevenire e limitare i danni dei terremoti. Dopo aver mostrato che l’entità dei costi sostenuti per la sola ricostruzione nelle zone colpite dai recenti terremoti è simile a quella necessaria per migliorare la resistenza sismica su tutto il territorio nazionale, illustrano le caratteristiche – e tutti i vantaggi - di una strategia di prevenzione imperniata su assicurazioni obbligatorie e mutui agevolati

Il terremoto di magnitudo 6.0 con epicentro nella valle del Tronto tra Accumuli e Amatrice (Rieti), che ha interessato alcuni fiorenti borghi dell’Appennino centrale (Arquata, Pescara del Tronto, Collalto, Norcia ecc.) delle 3.36 dello scorso 24 agosto ha provocato finora 295 morti. Si tratta di una quota molto elevata della popolazione: a l’Aquila, se la quota fosse stata la stessa, le vittime sarebbero state diverse migliaia. Gli sfollati sono più di 5.000 e le scosse (oltre 6.000) continuano a causare crolli e danni. Catastrofe è la parola giusta e i suoi effetti, comunque devastanti, molto probabilmente non si distribuiscono in modo uniforme, indipendentemente dalla posizione che si occupa nella scala sociale ed economica. Più in basso si sta in quella scala, maggiori possono essere, ad esempio, i rischi di vivere in case che non sono in grado di resistere al terremoto e più deboli le prospettive di recupero nel post- terremoto. Questo sembra essere accaduto, ad esempio, nel caso di un’altra catastrofe, l’uragano Katrina (cfr. On risk and disaster, a cura di R.J. Daniels, D.F. Kettl e H.Kunreuther, University of Pennsylvania Press, 2006). Le catastrofi naturali sono profondamente ingiuste, e non soltanto per i danni disuguali che provocano all’interno delle popolazioni colpite.

I danni provocati da questo nuovo sisma non sono stati ancora stimati. Sappiamo, però, che i soli costi di ricostruzione sostenuti per i terremoti che hanno devastato la penisola dal 1968 al 2014 (Belice, Irpinia, Friuli, Umbria e Marche ecc.) hanno superato i 121 miliardi di euro (Centro Studi del Consiglio Nazionale Ingegneri): un fiume di denaro. Sappiamo anche che il denaro pubblico è stato spesso utilizzato per realizzare interventi di scarsa qualità (se non fantasma), e comunque non sufficienti a garantire la stabilità delle abitazioni. Questo vale, almeno in parte, anche per la Valnerina e il comune di Norcia, che hanno beneficiato di finanziamenti per la ricostruzione dopo il terremoto del 1997: pur non essendosi verificati decessi, molte abitazioni e chiese hanno subito lesioni gravie primaria) sono state dichiarate inagibili, rendendo necessario iniziare l’anno scolastico nei container messi a disposizione dall’ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani); inoltre, a San Pellegrino e a Castelluccio di Norcia, dove i crolli sono stati più estesi, sono state allestite due tendopoli.

La nostra penisola è interessata dai movimenti della Placca Africana e della Placca Asiatica ed è attraversata dalla lunghissima Faglia Gloria, conosciuta sin dall’antichità come un’area a elevata attività sismica. Negli ultimi 2.500 anni si sono verificati oltre 30.000 eventi sismici di media e forte intensità; nel solo secolo scorso i terremoti di magnitudo superiore a 6.5 sono stati 7. La particolare conformazione geologica del nostro territorio porta a ritenere che con molta probabilità nei prossimi anni si verificherà, nell’Italia Centro-Meridionale, un evento catastrofico di magnitudo superiore a 7.5 gradi Richter. Dalla mappa di pericolosità sismica si ricava che più del 65% dei comuni italiani (circa 22 milioni di persone) è collocato in zone a rischio sismico; inoltre, l’82% degli stessi è a rischio di dissesto idrogeologico, mentre il 6,1% del territorio nazionale è esposto a frane e smottamenti.

Ne La ricchezza delle famiglie italiane, la Banca d’Italia stima la ricchezza netta delle famiglie italiane in 8.728 miliardi di euro (356.000 euro per famiglia) nel 2013, con 5.767 miliardi in attività reali, di cui ben 5.247 miliardi in immobili (85% a uso residenziale). Stime approssimative indicano che una quota compresa tra il 60%-70% del patrimonio abitativo italiano non è conforme alle normative vigenti. Uno studio recente pubblicato sempre dalla Banca d’Italia (Cannari, D’Alessio e Vecchi: I prezzi delle abitazioni in Italia, 1927-2012 – Giugno 2016) evidenzia che “al netto dell’inflazione, nel periodo in esame i prezzi delle case sono più che triplicati, mentre nelle grandi città sono quintuplicati. L’aumento risulta largamente superiore a quello dei costi di costruzione, che in termini reali sono poco più che raddoppiati. Oltre due terzi dell’aumento del prezzo delle case intervenuto tra il 1950 e il 2012 è attribuibile alla variazione del prezzo dei terreni edificabili. L’aumento del rapporto tra ricchezza e PIL registrato in Italia a partire dalla metà del secolo scorso risente, in larga misura, della crescita dei prezzi reali delle abitazioni”.

Il costo stimato della messa a norma dei soli edifici pubblici (scuole, ospedali, uffici ecc.) è di 50 miliardi di euro, quello delle abitazioni private è di oltre 90 miliardi, corrispondenti a 300-800 euro per metro quadrato. Di fronte a questi dati, l’applicazione del Principio di Precauzione dovrebbe essere obbligatoria, visto che la semplice somma dei benefici e costi diretti – senza tenere conto, cioè, di benefici impliciti e costi opportunità e, soprattutto, del tributo di vite umane (dal terremoto del Belice a quello di Amatrice si contano 4.986 morti) – dà esiti inequivocabili: 121 miliardi di euro, non attualizzati, spesi per interventi di ripristino in aree molto delimitate a fronte di circa 140 miliardi di costi stimati per la messa in sicurezza di tutto il patrimonio edilizio nazionale.

Il Patto di Stabilità e Crescita, con i suoi vincoli; il debito pubblico oltre il 132% del PIL; la crescita economica anemica, attualmente stimata allo 0,8% annuo, e la perdita di più del 25% della capacità produttiva in questa interminabile crisi a doppio picco, rendono molto difficile pensare che lo Stato possa finanziare una simile operazione, anche nell’arco di più anni. Gli stessi interventi per la ricostruzione, nelle attuali condizioni, risultano difficilmente sostenibili, se finanziati con la fiscalità generale.

Nel loro insieme, questi elementi disegnano uno scenario che definire catastrofico è un eufemismo e che l’Italia è assolutamente impreparata ad affrontare. Ma quali iniziative possono esser intraprese per mitigare e gestire i rischi connessi al verificarsi dei terremoti e di altri eventi naturali estremi (inondazioni, frane, ecc.)?

La soluzione sta nella combinazione di provvedimenti incentivanti e obbligatori in grado di fare sì che i privati mettano a norma il proprio patrimonio abitativo: assicurazione contro gli eventi naturali, incentivi fiscali e finanziari e/o detassazione.

L’assicurazione avrebbe naturalmente l’effetto di ridurre, ex post, il costo privato della ricostruzione, ma potrebbe anche favorire la prevenzione. Infatti, nella fasi di stipula dei contratti assicurativi lo stato di sicurezza sismica dell’edificio diventerebbe una variabile importante.

Attualmente le assicurazioni sono molto poco utilizzate a livello mondiale, e in particolare in Italia. Quanto questo sia incongruo lo si può comprendere considerando che in Italia si spendono in media oltre 740 euro l‘anno per assicurare veicoli che hanno un’età media di oltre 10 anni e un valore medio inferiore a 7.000 euro mentre per poche centinaia di euro (questo sarebbe il premio da pagare in caso di assicurazione obbligatoria) non si assicura la propria abitazione che ha un valore medio di oltre 230.000 euro!

Swisse Re, una delle maggiori compagnie di assicurazioni e ri-assicurazioni del mondo, nel suo rapporto annuale World Insurance in 2015, ha stimato in oltre 92.000 miliardi di dollari, di cui solo il 40% coperto da assicurazioni, il valore delle perdite economiche dovute alle catastrofi naturali e disastri provocati dall’uomo. Le sole catastrofi naturali, a cominciare dal terremoto del Nepal, hanno determinato perdite economiche per oltre 80.000 miliardi di dollari, di cui solo 28.000 coperte da assicurazione. In Italia, essendo l’assicurazione volontaria, solo l’1% delle case è assicurato contro le catastrofi naturali. L’assicurazione è obbligatoria in Romania e Turchia, mentre in alcuni paesi dell’UE (Danimarca, Francia, Spagna, Belgio) si è optato per un sistema semi-obbligatorio in cui la copertura contro le catastrofi naturali è associata a quella contro gli incendi.

Il costo di un’assicurazione obbligatoria contro le calamità naturali risulterebbe variabile, sulla base delle caratteristiche delle abitazioni e del territorio di edificazione, ma compreso tra i 100 e i 500 euro annui per un’abitazione tipo. L’Italia potrebbe optare per un sistema privato, con una cassa di riassicurazione, come nel caso delle Francia; per un sistema pubblico come nel caso della Spagna o, meglio, per un sistema misto in cui lo stato, ad esempio attraverso Consap (che gestisce i servizi assicurativi pubblici come il fondo di garanzia vittime della strada, il fondo usura, il fondo fallimenti immobiliari, il fondo di solidarietà per i mutui prima casa, ecc.) garantirebbe la partecipazione all’indennizzo, nel caso di sforamento dei massimali di rimborso, e la formazione di un pool assicurativo con contribuzioni ponderate.

Gli incentivi fiscali potrebbero avere un sicuro effetto se applicati al trattamento delle riserve delle compagnie di assicurazione. Tuttavia, nel caso dei privati, interventi simili a quelli pensati per l’efficientamento energetico (detrazione Irpef e Ires del 65% della spesa in 10 anni) difficilmente potrebbero avere effetti significativi per un motivo molto semplice: i costi di messa a norma anti sismica sono stimati in alcune decine di migliaia di euro (tra 10.000 e 80.000) per un’abitazione tipo, quindi sono enormemente superiori a quelli da sostenere per il risparmio energetico.

L’analisi delle dichiarazioni dei redditi del 2013 indica che solo 31 dei 41 milioni di contribuenti pagano almeno un euro di imposte. Circa 9 milioni di contribuenti con un reddito lordo annuo compreso tra 7.500 e 15.000 euro pagano un’Irpef media di 649 euro. Circa 7 milioni di contribuenti con un reddito lordo annuo compreso tra 15.000 e 20.000 versano 1.765 euro di Irpef all’anno. La tassa media versata cresce al crescere dei redditi: 3.400 euro per i redditi compresi tra 20.000 e 35.000 euro annui (11 milioni di contribuenti), 7.393 euro per i redditi tra i 35 e i 55 mila euro (2.500.000 soggetti), 15.079 euro per i redditi compresi tra 55000 e 100000 euro (1.100.000 persone), 31.537 euro per i redditi tra 100 e i 200 mila euro (339.000 contribuenti) e 102.463 euro per i redditi sopra 200.000 euro annui (100.000 persone).

Con questi dati, qualunque ipotesi di fiscalizzazione (percentuale di detrazione e durata temporale dell’ammortamento) deve fare i conti con il problema degli incapienti. Infatti, in base alle cifre appena elencate, oltre il 90% dei contribuenti italiani risulterebbe poco o nulla sensibile agli incentivi fiscali di questo tipo. Quindi, accanto a forme di fiscalizzazione adeguate allo scopo, andrebbero previsti mutui agevolati con piani di ammortamento pluridecennali, da realizzare con l’intervento di un consorzio bancario allo scopo costituito e della Cassa Depositi e Prestiti, e istituire un fondo, gestito da Consap, per la concessione di un prestito vitalizio ipotecario finalizzato alla messa in sicurezza dell’immobile, a condizioni agevolate.

L’introduzione dell’assicurazione obbligatoria sugli immobili rappresenta un passaggio ineludibile per la messa in sicurezza del patrimonio immobiliare italiano, in quanto – come si è accennato – la sottoscrizione di una polizza richiederebbe la messa a norma dell’immobile, come nel caso della revisione per le auto, e rappresenterebbe un ostacolo insormontabile per l’abusivismo edilizio e il consumo indiscriminato del territorio (ovviamente le case abusive non sarebbero assicurate da nessuno). L’introduzione dell’assicurazione obbligatoria sugli immobili può essere realizzata con attenzione ai “proprietari poveri” (cioè con basso reddito), prevedendo nel caso delle prime case anche contributi a fondo perduto; magari ricorrendo al cosiddetto piano Casa Italia annunciato dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi, piano che – si dice – disporrebbe di risorse per 50 miliardi nel prossimo ventennio.

Oltre agli effetti precauzionali dovuti alla messa in sicurezza degli edifici, vi sarebbero immediate ricadute economiche sul settore dell’edilizia, amplificate da auspicabili accordi con le associazioni di settore (tariffe concordate) e, naturalmente, effetti moltiplicativi sui livelli di attività economica del paese.

Schede e storico autori