I “poveri ricchi”: l’ossimoro della povertà

L’ossimoro è una figura retorica che consiste nell’unione di due termini tra loro contraddittori, ottenendo così l’effetto di un paradosso apparente: rumore sordo, lucida follia e, perché no?, poveri ricchi. La scopo di questa scheda è mostrare che il modo nel quale viene misurata la povertà, può rendere necessario, per caratterizzare alcune situazioni, proprio l’uso di quest’ultimo ossimoro.
È utile chiarire, sin dall’inizio, che quanto si dirà non è riconducibile ad errori nella misurazione ufficiale della povertà, ma riguarda aspetti teorici più complessivi che richiedono, quindi, un giusto approfondimento. Inoltre, la questione non è puramente teorica, perché essere collocati sopra o sotto la soglia di povertà non è, naturalmente, indifferente e se cambia la misura di povertà adottata può facilmente capitare che si valichi quella soglia perdendo, ad esempio, il diritto a un sussidio o a un vantaggio fiscale.
Quali sono, allora le misure di povertà più comuni? Come è ben noto, i due tipi di misurazione della povertà principalmente adottati, sia nella letteratura di riferimento sia nelle rilevazioni ufficiali, sono: la povertà relativa e la povertà assoluta.
In base alla prima, i “relativamente poveri” solo coloro il cui standard di vita – misurato in termini di reddito o di consumo – è inferiore a una data percentuale della media o della mediana del reddito o del consumo della popolazione di riferimento. Ad esempio, secondo la definizione adottata da Eurostat sono poveri gli individui il cui reddito disponibile equivalente si colloca al disotto del 60% del reddito mediano equivalente nazionale. In Italia, invece, la soglia di povertà relativa per una famiglia di due componenti, è uguale alla spesa media procapite nel paese, ottenuta dividendo la spesa totale per consumi delle famiglie per il numero totale dei componenti. Indipendentemente dal paramento di riferimento utilizzato (reddito o consumo) la soglia della povertà relativa è sensibile all’andamento del ciclo economico e alle variazioni nella distribuzione del reddito, cioè nella disuguaglianza. Per conseguenza variazioni nel numero dei poveri relativi possono aversi indipendentemente da variazioni nelle reali condizioni di vita dei poveri.

La povertà assoluta, invece, rappresenta la spesa minima necessaria per acquisire i beni e servizi ritenuti essenziali in ciascun contesto di riferimento e per questo si può affermare che anch’essa ha un contenuto, per quanto limitato, di “relatività”. Ogni paese calcola, quindi, la povertà assoluta tenendo conto di ulteriori aspetti legati al territorio o alla composizione familiare. In Italia (cfr. La misura della povertà assoluta, Istat 2009) la spesa minima necessaria è determinata sulla base di un paniere che ha tre componenti: generi alimentari, abitazione, spesa residuale (vestiario trasporto e altro); inoltre, la soglia varia in base alla dimensione della famiglia, alla sua composizione per età, alla ripartizione geografica e alla dimensione del comune di residenza. A differenza della soglia della povertà relativa che – essendo influenzata dalla distribuzione e da altri cambiamenti economici può muoversi in tutte le direzioni – la soglia della povertà assoluta tende a diminuire nel tempo in quanto il suo valore, determinato in un anno base, viene rivalutato tenendo conto soltanto dell’andamento dei prezzi. D’altro canto, la determinazione della soglia della povertà assoluta risente delle notevoli difficoltà, che si incontrano nel definire i beni e i servizi ritenuti essenziali, su cui esiste un ampio dibattito a livello internazionale, (Cfr. tra gli altri: J. Foster, American Economic Review, 1998; M. Ravallion, The World Bank Policy Research Working Paper 4486, 2008) .
Va anche ricordato che nella stima dei poveri assoluti non sono inclusi I “poveri estremi” cioè coloro che non hanno fissa dimora vivono in strada, in spazi pubblici, in alloggi di fortuna o presso servizi di accoglienza notturna.
Le due soglie di povertà cercano di cogliere lo stesso fenomeno seguendo approcci differenti. La povertà relativa utilizza un indice di posizione di una specifica distribuzione (reddito o consumo), mentre la povertà assoluta individua degli standard minimi ritenuti essenziali per la sopravvivenza di un individuo.
Il confronto tra i due indici non avrebbe molto senso se si facesse riferimento a due o più paesi. Osservando invece lo stesso paese, è lecito immaginare che la soglia di povertà assoluta identifichi un livello di reddito/spesa sotto il quale le persone vivano in una condizione di forte deprivazione o comunque ritenuta non accettabile. Seguendo questo ragionamento, quindi, ci si attende che la soglia di povertà relativa sia sempre maggiore, o almeno uguale, a quella assoluta. Diversamente capiterebbe che alcuni individui, pur essendo “assolutamente” poveri, abbiano un livello di reddito o di consumo superiore rispetto a quelli di chi non è povero relativo perché si trova al di sopra della corrispondente soglia. In questo caso si verificherebbe una sorta di paradosso che giustifica l’uso dell’ossimoro di cui si diceva in apertura: ci imbatteremo in alcuni “poveri ricchi”.
Proviamo a verificare come stanno le cose, a questo riguardo, in Italia, avvantaggiati dal fatto che il nostro paese è uno dei pochi che pubblica le stime sia della povertà relativa sia di quella assoluta prima per l’anno 2013 e successivamente in serie storica.
Come si è già detto, la due soglie di povertà sono calcolate tenendo conto di diversi aspetti. Considerata, quindi, la combinazione di soglie disponibili, confronteremo la povertà relativa e quella assoluta tenendo conto della numerosità dei componenti della famiglia (da uno a cinque) , della sua collocazione al Nord, al Centro e al Sud e dell’età compresa fra i 18 e i 59 anni.
In Italia, nel 2013, per una famiglia di due componenti la soglia di povertà relativa (Cfr. La povertà in Italia, Istat 2013), è stata pari a 972,52 euro mensili mentre quella assoluta dipende dalle tipologie famiglia e dalle altre variabili descritte precedentemente.
Nella Figura 1, è riportata la differenza, per l’anno 2013, tra la povertà relativa e quella assoluta. Osservando il grafico emerge, che, sia nel Nord sia nel Centro, la povertà relativa è minore di quella assoluta in tutte le tipologie di famiglie osservate e in modo più netto per quelle composte da uno o due componenti. Nel Mezzogiorno, invece, la povertà relativa è sempre maggiore di quella assoluta, ad eccezione della famiglia composta da un solo componente.
Questa prima analisi mostra che sotto determinate condizioni, almeno in teoria, esistono dei “Poveri Ricchi”. Si potrebbe pensare, però, che l’anno 2013 sia anomalo a causa della crisi economica. Se ci riferiamo agli anni compresi tra il 2005 e il 2013, osserviamo (Figura 2) che la povertà relativa è minore di quella assoluta per tutto il periodo soltanto per le famiglie di uno o due membri residenti nel nord. Con l’accentuarsi della crisi, negli anni più recenti, il fenomeno si è manifestato anche nel Centro. Questo cambiamento potrebbe essere in parte determinato dall’effetto combinato di cambiamenti nella distribuzione del reddito e di una ridotta dinamica inflazionistica (utilizzata per rivalutare la soglia di povertà con anno base 2005). Infine, nel Mezzogiorno , con l’ eccezione del 2013, la soglia di povertà relativa è sempre stata maggiore di quella assoluta.
I dati mostrano, quindi, l’esistenza dell’ossimoro della povertà: vi sono individui che si collocano al di sopra della soglia di povertà relativa (non povere) ma che hanno un reddito o un consumo inferiore a quello ritenuto essenziale (povertà assoluta).
Naturalmente il fatto che la soglia della povertà relativa sia al di sotto di quella assoluta determina solo la possibilità che vi siano “poveri ricchi”.  In particolare, nelle indagini campionarie potrebbe darsi che non vi siano famiglie con il reddito o i consumi che corrispondono a quelli dei “poveri ricchi”. Ma questo non vuol dire che il problema non sia rilevante né che il modo nel quale le policy  sono formulate non possa penalizzare  i “poveri ricchi” che effettivamente esistono nella società.

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