Gli indici di Employment Protection Legislation e alcune fallacie sul mercato del lavoro italiano

Elenora Romano analizza gli indici elaborati dall’OCSE sulla Employment Protection Legislation, cioè sulle regole e le procedure di assunzione e licenziamento dei lavoratori nel settore privato. Dopo avere illustrato come tali indici vengono costruiti e alcuni loro limiti, Romano mostra che il nostro paese non si caratterizza per particolari rigidità. Ad esempio, con riferimento al lavoro a tempo indeterminato, l’Italia, anche per effetto della “riforma Fornero” risulta meno rigida della Germania.

Quando si parla di Employment Protection Legislation (EPL) si fa riferimento all’insieme di regole e procedure che disciplinano la possibilità di assumere e licenziare lavoratori nel settore privato. L’Ocse fornisce alcuni indicatori sintetici, che misurano il grado di EPL in vari paesi. Questi indicatori sono costruiti facendo riferimento a 21 fattori, classificati in tre aree principali. Nella prima rientrano i fattori (1-9) collegati alla normativa sui lavoratori a tempo indeterminato licenziati per motivi individuali o economici, ma senza giusta causa; nella seconda area rientrano i fattori (10-17) collegati ai contratti a termine standard e al lavoro interinale (temporary-work-agency employment); infine, nella terza area rientrano i fattori (18-21) che definiscono le regole specifiche da applicare nel caso di licenziamenti collettivi. Gli indicatori sintetici di EPL sono ottenuti attribuendo alle regole vigenti nei vari paesi – per ognuno dei 21 fattori – un punteggio su una scala che va da 0 a 6.

Sulla base di questa metodologia, l’Ocse elabora due principali sotto-indicatori di EPL, uno per il grado di protezione del lavoro a tempo indeterminato (EPRC) – che tiene conto di fattori quali i vincoli procedurali e temporali al licenziamento, il livello degli indennizzi, le difficoltà a licenziare (es. definizione di licenziamento senza giusta causa, periodo di prova, disciplina del reintegro, ecc.) e la disciplina dei contratti collettivi – ed uno per quelli a termine (EPT). In entrambi i casi, quanto maggiore è la flessibilità del mercato del lavoro, tanto minore è il valore dell’indice.
L’Ocse fornisce i dati in tre versioni, che riflettono i cambiamenti avvenuti nel corso del tempo circa l’ampiezza delle informazioni incluse. La prima versione è disponibile per molti paesi a partire dal 1985, mentre la terza versione – che comprende una gamma più ampia di fattori rispetto alle versioni precedenti – è disponibile soltanto a partire dal 2008. Di conseguenza, per avere un’idea dei cambiamenti avvenuti negli ultimi due decenni nel grado di protezione del lavoro facciamo riferimento alla prima versione dell’indice [1. Nella versione 1, l’indice EPRC non include il fattore 9 (tempo massimo per la presentazione del ricorso per licenziamento senza giusta causa) ed i fattori 18-21 relativi ai licenziamenti collettivi; l’indice EPT, invece, non include i fattori 16 e 17, relativi al lavoro interinale]. La Tabella 1 mostra l’andamento dell’indice EPL complessivo nei paesi europei per il quale l’OCSE ha calcolato gli indicatori a partire dal 1990.

Tabella 1. Il grado complessivo di protezione dei lavoratori: indice EPL (versione 1), 1990-2013.

Tabella 1 Il grado complessivo di protezione dei lavoratori indice EPL (versione 1), 1990-2013
Fonte: Ocse (Employment protection annual time series data)

 

Ovunque, con l’eccezione di Francia, Gran Bretagna ed Irlanda, si osserva un aumento del grado di flessibilità del mercato del lavoro. In particolare, in Italia la riduzione della protezione dell’occupazione nel periodo considerato è di circa il 40%. Con riferimento al 2013 il valore dell’EPL per l’Italia (2.256 ) è leggermente superiore rispetto a quello del Belgio (2.092), della Germania (1.997), della Grecia (2.185) e dei Paesi Bassi (1.879), ma inferiore rispetto a quello della Spagna (2.305), della Francia (3.005) e del Portogallo (2.499). Notevolmente inferiori, per tutto il periodo, risultano i valori per i mercati del lavoro fortemente deregolamentati di Gran Bretagna ed Irlanda. Questi dati non danno, quindi, conforto alla tesi molto diffusa secondo cui il mercato del lavoro italiano sarebbe caratterizzato da una particolare rigidità rispetto agli altri paesi europei. Oltre all’indice EPL generale, è però interessante osservare l’andamento dei due sotto-indici EPRC e EPT.

In Figura 1 si nota che, esclusi la Gran Bretagna ed il Portogallo, che si caratterizzano per valori dell’indice EPRC rispettivamente molto più bassi e molto più alti rispetto a quelli degli altri paesi considerati (nonostante la notevole riduzione dell’indice portoghese negli ultimi anni), gli indici sono compresi in un intervallo relativamente contenuto. In particolare, a partire dal 2004 l’indice EPRC italiano risulta sempre inferiore a quello tedesco, con un riduzione ancora più accentuata tra il 2012 ed il 2013. In effetti, a fronte di una sostanziale costanza dell’indice italiano fino al 2012, l’indice ERPC tedesco è aumentato nel 2004 stabilizzandosi, da lì in poi, su un livello più alto. La caduta dell’indice EPRC italiano tra il 2012 ed il 2013 è dipesa dal forte ridimensionamento del principio del reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa introdotto dalla “riforma Fornero”. L’esame comparato dei dati non sembra, quindi, supportare l’idea che in Italia sia in vigore una “superprotezione” dei lavoratori a tempo indeterminato.

Figura 1. Il grado di protezione del lavoro a tempo indeterminato. Indice EPRC (versione 1 ), 1990-2013.

Figura 1 Il grado di protezione del lavoro a tempo indeterminato. Indice EPRC versione 1 , 1990-2013
Fonte: Ocse (Employment protection annual time series data)

 

Per quanto riguarda l’indice EPT, la Figura 2 segnala una maggiore eterogeneità tra i paesi, con una marcata tendenza alla riduzione della protezione per alcuni di essi. Nello specifico, in Italia si è verificata una prima brusca riduzione dell’indice EPT dopo il 1997 (in corrispondenza dell’adozione del “pacchetto Treu”) ed una seconda forte caduta dal 2003 (introduzione della “riforma Biagi”); a seguito di quest’ultima l’indice è rimasto stabile ad un valore (2.0) di circa il 60% inferiore rispetto a quello del 1990 (4.9). Analogamente, ma a livelli più bassi, l’indice EPRC tedesco si è fortemente ridotto rispetto agli anni ’90, per effetto del progressivo smantellamento delle tutele del lavoro a termine, che nel periodo 2002-2005 è culminato nelle riforme Hartz. Le tutele dei lavoratori a termine sono decisamente più alte in Francia, dove, peraltro, l’indice EPT è rimasto costante dagli anni ’90 fino al 2013. La Gran Bretagna presenta un indice EPT che è notevolmente più basso rispetto agli altri paesi e che, dopo essere rimasto stabile fino al 2002, è ha mostrato una lieve tendenza al rialzo a partire dal 2003.

Figura 2. Il grado di protezione del lavoro a tempo determinato. Indice EPT (versione 1 ), 1990-2013.

Figura 2 Il grado di protezione del lavoro a tempo determinato. Indice EPT versione 1  1990-2013
Fonte: Ocse (Employment protection annual time series data)

 

Mentre i dati finora presentati si riferiscono alla versione 1 degli indici EPL, la Figura 3 riporta gli indici EPL ricalcolati per gli anni 2008 e 2013 in base ai criteri della versione 3 (come detto più esaustiva),. Inoltre, essa riporta anche il rapporto EPT/EPRC, che può considerarsi come una misura del dualismo del mercato del lavoro (minore il valore, minore la protezione dei lavoratori a termine rispetto a quella dei lavoratori a tempo indeterminato). Per quanto riguarda l’indice EPRC, è da notare che, anche in base alla versione 3, il valore italiano nel 2013 non è particolarmente alto, ponendosi al di sotto sia del valore tedesco che di quello francese. L’indice EPT nella versione 3 segnala una sostanziale stabilità nel periodo considerato per diversi paesi (tra cui l’Italia), un aumento per Germania, Gran Bretagna, Irlanda, Portogallo e Svezia, una riduzione per Spagna e Grecia. Infine, con riferimento al rapporto EPT/EPRCS, la maggior parte dei paesi sembra caratterizzata da una tendenza alla riduzione di tale rapporto, che segnala un aumento del dualismo della normativa del mercato del lavoro. Tuttavia, il mercato del lavoro italiano, per il quale si parla spesso di “apartheid” degli “ipergarantiti” a tempo indeterminato a scapito di chi (soprattutto giovani) è occupato con contratti atipici, non sembra essere caratterizzato da un dualismo della normativa a tutela dei lavoratori superiore a quello che caratterizza altri paesi. Al contrario, a guardare gli indici forniti dall’OCSE, in paesi come Germania, Danimarca e Svezia sembra esserci molto più “apartheid” che in Italia.

Figura 3. EPRC ed EPT (versione 3): dualismo del mercato del lavoro, 2008 vs.2013.

 

Figura 3 EPRC ed EPT versione 3 - dualismo del mercato del lavoro, 2008 vs.2013
Fonte: Ocse (Employment protection annual time series data)

In conclusione, sebbene presentino alcuni limiti (ad esempio non considerano durata ed incertezza delle procedure giudiziarie o il trattamento del lavoro autonomo) e vadano interpretati con cautela (si ricordi che, inizialmente, per errore l’OCSE inseriva il TFR come un costo di licenziamento, rendendo così molto elevato il valore dell’EPL italiano), gli indicatori EPL forniti dall’Ocse rappresentano uno strumento utile per effettuare confronti internazionali e sfatare alcuni “miti” (dalla generale scarsa flessibilità, all’eccessivo dualismo) che troppo spesso invadono il dibattito politico sul mercato del lavoro italiano.

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