EI Towers – Rai way: l’obiettivo è l’efficienza o la cassa?

Antonio Scialà dedica il "Contrappunto" alla recente notizia dell'Opas su Rai way lanciata da EI Towers, società del gruppo Mediaset. Dopo aver riassunto i termini della vicenda, Scialà propone una riflessione sugli effetti che avrebbe l'Opas, qualora andasse in porto, sulla struttura del mercato dei servizi televisivi, sottolineando l'urgenza di una definizione del quadro regolatorio del settore

A novembre del 2014 il governo Renzi decise la privatizzazione di Rai way mettendo sul mercato il 30,4% delle azioni della società. A pochi mesi di distanza (24 febbraio 2015), l’altro principale gestore dell’infrastruttura che permette di trasmettere il segnale televisivo via etere (le cosiddette “torri”), EI Towers, ha lanciato un’Offerta pubblica di acquisto e di scambio (Opas) per acquisire – nelle intenzioni dell’offerente – i due terzi del capitale sociale di Rai way. Di fatto, il tentativo è quello di creare un quasi-unico gestore dell’infrastruttura (c’è un terzo gestore, rappresentato da Telecom Italia Media Broadcasting). L’offerta complessiva – tra contante e scambio di azioni – ammonta a 1,22 miliardi di euro.
La notizia ha suscitato un’ampia discussione sulla stampa principalmente per tre ragioni, le prime due legate alla circostanza che EI Towers è una società appartenente al gruppo Mediaset, la terza legata ai contenuti dell’Opas. La prima ragione è che Mediaset è di proprietà della famiglia Berlusconi. La seconda ragione è che Mediaset – come peraltro la Rai, azionista di controllo di Rai way – oltre ad essere gestore dell’infrastruttura è al contempo un importante network operator (titolare del diritto d’uso di numerose frequenze) e un importante editore, ossia produttore di contenuti (i programmi televisivi) che viaggiano su tale infrastruttura per giungere nelle case dei telespettatori. La terza ragione è che l’Opas di EI Towers è in contrasto con quanto affermato nelle premesse del provvedimento di privatizzazione di Rai way, dove si afferma esplicitamente che il controllo pubblico non può scendere sotto il 51%.
Sui profili politici dell’operazione – cui attiene la prima ragione – ci si limita solamente ad osservare che essendo Silvio Berlusconi decaduto dalla carica di Senatore della Repubblica e non avendo, al momento, alcuna carica politica, né essendo al momento candidato in alcuna elezione, anche qualora esistesse, difficilmente potrebbe essere applicata una normativa stringente sui conflitti d’interesse. La discussione riguardo i contenuti dell’Opas – cui attiene la terza ragione – è relativa ad un problema di strategia dell’operazione: perché EI Towers ha formulato un offerta in contrasto col dettato normativo? A ben vedere però, nell’Opas EI Towers apre ad eventuali controproposte da parte della Rai e del Governo, quindi l’interpretazione più convincente è che l’Opas sui due terzi delle azioni Rai way è in realtà un modo per segnalare che l’obiettivo è la costituzione di un soggetto unico di gestione della rete infrastrutturale. Da questo punto di vista le cose non cambierebbero molto qualora Mediaset detenesse il 49% anziché il 66,67%: difficilmente le scelte societarie più importanti potrebbero essere assunte contro la volontà di un azionista che detiene il 49% delle azioni.
In questo articolo si vuole offrire qualche spunto di riflessione sul secondo dei tre aspetti sopra ricordati.
La domanda centrale è: quali sono gli obiettivi della privatizzazione di Rai way? Tutti i governi normalmente quando commentano un provvedimento di privatizzazione menzionano due obiettivi, spesso mettendoli nel seguente ordine di priorità: (i) migliorare l’efficienza del settore in cui opera l’impresa privatizzata (che spesso occupa una fetta significativa del mercato); (ii) reperire risorse da destinare alla riduzione dello stock di debito pubblico – in termini più sintetici, fare cassa. Il problema è che tipicamente tra questi due obiettivi c’è un trade off. L’emblema dell’inefficienza del mercato è il monopolio, ma privatizzare un’impresa monopolista è – sul piano finanziario – molto più remunerativo che privatizzare un’impresa che si troverà ad operare in un mercato concorrenziale o regolato in maniera stringente con l’obiettivo di ottenere un’allocazione il più possibile prossima a quella di concorrenza perfetta. Tanto è vero che, se l’obiettivo preminente fosse quello di incrementare l’efficienza del mercato, allora sarebbe opportuno prima costruire il quadro regolatorio e poi procedere alla privatizzazione. Questo in Italia non è avvenuto praticamente mai – o almeno non nei casi più rilevanti – considerata l’importanza implicita che è stata sempre assegnata all’esigenza di fare cassa con le privatizzazioni. E infatti, molte imprese privatizzate negli ultimi venticinque anni dai nostri governi hanno poi fatto registrare profitti molto elevati (e.g. Enel ed Eni), spesso spiegati dall’elevato potere di mercato che tali aziende hanno continuato a detenere nei settori in cui operano.
Per analizzare le implicazioni economiche della specifica vicenda “EI Towers – Rai way” può essere utile richiamare qualche elemento tecnico. Le infrastrutture di trasmissione del segnale televisivo (le “torri”) sono un input essenziale per la produzione di servizi televisivi: se un editore vuole attivare un canale tv su cui trasmettere dei programmi (i cosiddetti contenuti), è necessario che si rivolga ad un network operator titolare del diritto d’uso di frequenze; quest’ultimo, affinché possa esercitare il suo diritto d’uso, deve acquistare l’accesso all’infrastruttura dalla società che ne detiene la proprietà/gestione. In Italia, poiché la normativa di settore e quella antitrust non lo vietano, può accadere (e accade molto spesso) che editori, network operator e proprietari dell’infrastruttura appartengano allo stesso gruppo societario.
La struttura dell’industria configura un caso abbastanza classico di monopolio naturale, per cui la soluzione efficiente, dal punto di vista della struttura dei costi, sarebbe rappresentata da  un’ infrastruttura unica, senza duplicazioni o triplicazioni. Al contrario, attualmente in Italia esistono tre compagnie che detengono ciascuna una rete di torri sul territorio nazionale: Rai way (gruppo Rai), EI Towers (gruppo Mediaset), Telecom Italia Media Broadcasting (gruppo Telecom). La ragione della convivenza di  tre reti è legata alle modalità che hanno caratterizzato lo sviluppo del mercato televisivo italiano. Fino a non molti anni fa (primissimi anni ottanta), infatti, un operatore diverso dalla Rai che avesse voluto far arrivare nelle case dei telespettatori i contenuti da esso prodotti aveva come unica alternativa quella di costruirsi la propria infrastruttura. Gli introiti derivanti dal mercato pubblicitario – anch’esso molto concentrato – erano talmente ingenti da rendere conveniente l’investimento nella costruzione di tale infrastruttura, dal punto di vista dei suoi rendimenti privati. Fininvest colse questa opportunità di profitto, forzando la normativa esistente fino ad indurne una radicale riforma nel 1990 con la legge Mammì. Il discorso si fa diverso se si guarda ai costi sociali. Da questo punto di vista, sarebbe stata più efficiente la costruzione di un’unica infrastruttura nazionale (pubblica o privata) concepita per garantire l’accesso ai produttori di contenuti autorizzati. In questo senso, il passaggio dall’attuale configurazione all’ infrastruttura unica è certamente giustificato sul piano dell’efficienza, a condizione, però,  che si costruisca un adeguato quadro regolatorio entro il quale si muovano i vari soggetti coinvolti nel mercato televisivo. Il quadro regolatorio esistente presenta diverse carenze, sia sul piano della regolamentazione di settore, sia su quello della tutela della concorrenza e del mercato.
La regolamentazione del settore delle comunicazioni – che in Italia è affidata a  Agcom – ha due obiettivi preminenti: (i) garanzia di accesso a tutti i network operator titolari di licenza d’uso di frequenze a condizioni non discriminatorie in termini di tariffa e di qualità dell’accesso; (ii) incentivare gli investimenti innovativi sulla rete da parte del gestore/proprietario. Attualmente, è previsto per i gestori delle reti esistenti l’obbligo di fornire accesso ai network operator. È inoltre previsto che tale accesso sia fornito a condizioni non discriminatorie, per cui EI Towers non può far pagare una tariffa di favore ad un network operator del suo stesso gruppo. Tuttavia, la tariffa d’accesso – contrariamente a quanto accade ad esempio per la rete telefonica fissa – non è assoggettata a regolamentazione da parte di Agcom. Ciò implica, in primo luogo che EI Towers può fissare abbastanza liberamente le tariffe; in secondo luogo che i concorrenti di Mediaset sul mercato dei contenuti, accedendo alle torri di EI Towers sussidiano Mediaset stessa attraverso la tariffa che pagano a EI Towers (ovviamente lo stesso discorso può applicarsi alla Rai, che è un altro concorrente sul mercato dei contenuti). Ne consegue che i potenziali concorrenti di Mediaset devono essere più efficienti di Mediaset (e della Rai) per poter reggere la sua concorrenza. In linea di principio, per ovviare a questo stato di cose molti ordinamenti – oltre a prevedere una regolamentazione delle tariffe d’accesso – richiedono che vi sia una qualche forma di separazione (proprietaria, legale, o anche solo contabile) tra il soggetto gestore dell’infrastruttura e i soggetti che utilizzano l’infrastruttura come input nel proprio processo produttivo.
Per quanto riguarda la regolamentazione a tutela della concorrenza e del mercato – che in Italia è di competenza  dall’Autorità antitrust (Agcm) – è noto che nel settore dell’industria editoriale essa risente negativamente della  carente    definizione di  mercato rilevante, indispensabile per determinare l’ eventuale abuso di posizione dominante  e , quindi, per giustificare l’intervento dell’Antitrust in operazioni di aggregazione come è il tentativo, di particolare rilevanza ai nostri fini,  di    acquisizione di RCS da parte di Mondadori (sempre gruppo Mediaset). . In effetti, va notato, che la nostra Autorità antitrust è stata certamente l’istituzione che ha reagito più attivamente all’Opas lanciata da EI Towers, avviando.  mercoledì 11 marzo, un’istruttoria sull’operazione. Correttamente, date le sue competenze, l’Antitrust si concentra essenzialmente sulle conseguenze dell’Opas – qualora andasse in porto –  sul funzionamento del mercato, non su quelle di carattere industriale. Tra le righe della delibera di avvio dell’istruttoria si legge che se l’Opas andasse in porto si passerebbe da un duopolio (Rai – Mediaset) non regolato ad un monopolio (quello che emergerebbe dall’integrazione tra EI Towers e Rai way) non regolato. L’opzione alternativa sarebbe un monopolio regolato sul mercato dell’accesso all’infrastruttura che  richiederebbe un’adeguata copertura normativa e sposterebbe la competenza della regolamentazione (della tariffa d’accesso) dall’Agcm all’Agcom.
In sintesi, se l’obiettivo prioritario della privatizzazione è quello dell’efficienza, allora prima di accettare un Opas di EI Towers bisognerebbe aspettare di adeguare il quadro regolatorio. In assenza di tale adeguamento della regolamentazione (in particolare di quella di settore), sarebbe forse preferibile attendere offerte da altri soggetti. Non solo. Rai way, potrebbe in tale contesto fare concorrenza a EI Towers nell’acquisizione di network operator indipendenti. Al momento, infatti, le torri di Rai way sono utilizzate in maniera quasi esclusiva da produttori di contenuti appartenenti allo stesso gruppo, mentre EI Towers fornisce accesso anche a produttori di contenuti non appartenenti al gruppo Mediaset (ad esempio Disney Channel, Fox, Eurosport, ed altri).
E se invece l’obiettivo prioritario fosse quello di fare cassa? In tal caso le domande da porsi sono due: a) qual è sul mercato il soggetto per il quale l’asset Rai way ha il valore più elevato e quindi è disposto ad offrire di più? Risposta: probabilmente il maggior operatore alternativo, cioè EI Towers; b) l’introito massimo derivante dalla privatizzazione consentirebbe un significativo abbattimento dello stock di debito pubblico italiano? Come ricordato in apertura, l’offerta di EI Towers ammonta complessivamente a 1,22 miliardi di euro per acquisire i due terzi di Rai way, quindi  l’introito sarà anche inferiore se, come previsto dal provvedimento di privatizzazione, non si venderà più del 49%. Considerando la dimensione del nostro  debito, forse il Governo non dovrebbe  privilegiare questo obiettivo.

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