Donne e traffico di esseri umani

Come le cronache delle recenti settimane sembrano sempre più dimostrare, la violenza contro le donne è diffusa in tutto il mondo e può assumere le forme più diverse. Lo scorso anno il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, esortava governi, organizzazioni internazionali e in generale tutti gli attori che nel pianeta sono impegnati nel tema a sfruttare l’energia, le idee e la leadership dei giovani per aiutare a porre fine a questa pandemia di violenza così da avere un mondo più giusto, pacifico ed equo.

A livello internazionale uno dei problemi che più colpiscono il sesso femminile, in particolare, è il traffico delle persone. Il cosiddetto business mondiale della “merce umana”, in continua crescita, raggiunge dimensioni simili al traffico di droghe e armi. Il problema assume diverse sfumature secondo i paesi all’interno dei quali avvengono questi fenomeni. Diviene così evidente l’importanza di rafforzare la conoscenza e la consapevolezza stabilendo chiare strategie d’intervento. In questo senso le organizzazioni della società civile e quelle internazionali svolgono un importante ruolo aiutando a individuare i fattori che influenzano e determinano il traffico delle persone, dispensando raccomandazioni agli attori interessati nella lotta contro questa terribile attività.

Il Novecento è stato un secolo portatore di moltissimi cambiamenti a livello globale. Alcune cose, però, non sono cambiate di tanto. E’ il caso di molti Paesi in via di sviluppo che continuano a mantenere livelli alti di povertà con la popolazione che non ha accesso a educazione e sanità. Le guerre interne ed esterne provocano grandi impatti in quelle società, nell’economia e nell’ambiente e ampi settori della popolazione hanno solo un obiettivo all’inizio di ogni giornata: sopravvivere!

Una delle scelte che si presenta a questo settore povero che non ha avuto accesso allo studio o che non ha ottenuto opportunità d’impiego nel proprio paese è emigrare. Il fenomeno della migrazione non è nuovo ma, anche a causa delle imprese multinazionali che in alcune aree hanno spesso distrutto le produzioni locali, si è intensificato facendo si che migliaia di uomini e donne lascino i luoghi di origine in cerca di una vita migliore.

Mentre negli anni Cinquanta e Sessanta del secolo scorso la migrazione era essenzialmente maschile, e le donne migravano come spose, madri o figlie dell’uomo, da alcuni lustri la situazione è cambiata. Si assiste, infatti, a un fenomeno di “femminilizzazione” delle migrazioni che vede le donne partire dal loro luogo di origine per svolgere lavori domestici o essere impiegate come operaie nelle fabbriche. Come noto, queste lavoratrici spesso illegali, ricevono una remunerazione minore di quella che stabilisce il paese ospitante nonostante lavorino più ore, spesso non hanno accesso ai servizi sociali e possono sperimentare licenziamenti arbitrari. Tuttavia, queste donne possono andare incontro a pericoli ben più gravi giacché molte volte, con il fine di uscire dal paese di origine a qualsiasi costo, sono vittime delle organizzazioni internazionali dedite al traffico di donne e ragazze. Questi criminali, attraverso inganni, le aiutano a emigrare con fini si sfruttamento e commercio sessuale, matrimoni imposti, schiavitù e lavori forzati (come lo sfruttamento di donne cinesi e vietnamite come manodopera nei laboratori clandestini). Uno dei principali modi con cui la criminalità organizzata reitera questo traffico è basato sulla stipulazione di veri e propri contratti di debito o vincoli di altra natura (in alcuni casi sfruttando anche credenze e tradizioni culturali, come nel caso del ju-ju in Nigeria).

Secondo dati delle Nazioni Unite, che sin dal 2000 ogni anno celebrano il 25 novembre la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, il business che c’è dietro il traffico a fine di sfruttamento sessuale muove ogni anno bilioni di dollari. Pur essendo impossibile dare una mappatura esatta, si stima che ogni anno tra le 700.000 e le 900.000 persone (di cui circa il 20% sono minorenni, la quasi totalità, 94%, donne) siano vittime del traffico di esseri umani che, stando ai dati del Copasir, è il secondo crimine dopo il narcotraffico.

Il traffico di donne può classificarsi, secondo la zona di destinazione, in due tipi: la tratta interna, che dipende dalla domanda esistente nel proprio paese, dove molte donne sono trasportate con l’inganno dai propri villaggi verso le città più sviluppate per essere immesse nel giro della prostituzione o in lavori forzati, servizi domestici, agricoltura e fabbriche; e la tratta esterna. Quest’ultima copre la domanda di un mercato internazionale che, per quanto riguarda l’America Latina, solo per fare un esempio, ha i suoi punti di operazione e reclutamento principale in Brasile, Suriname, Colombia, Repubblica Domenicana e Antille per essere inviate in centri di distribuzione ubicati in Spagna, Grecia, Germania, Belgio, Olanda e Giappone.

Una delle ragioni principali che favorisce questo delittuoso mercato di esseri umani è la povertà. Molte vittime di queste situazioni vivono in condizioni d’indigenza e soffrono della mancanza di opportunità e sviluppo. Difronte a questa situazione spesso accettano di emigrare a condizioni di lavoro molto basse, sperimentando una discriminazione doppia: non solo sono sfruttate sessualmente, ma una volta arrivati nei paesi di destinazione devono sopportare anche il rifiuto della società che le considera prostitute illegali. Per questa ragione qualsiasi programma che intenda lavorare per sradicare il traffico delle persone, e delle donne in particolare, deve avere come punto prioritario la lotta alla povertà.

Dal punto di vista giuridico esistono molti strumenti che a livello internazionale aiutano nella lotta contro la tratta delle persone e lo sfruttamento. Tra queste esiste la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948 che all’articolo 1 recita: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”. L’articolo 2 sottolinea che: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione…”.

L’articolo 3 precisa che: “Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona”, mentre l’articolo 4 stabilisce che: “Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù; la schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma”.

Anche la Convenzione internazionale dei diritti economici, sociali e culturali all’articolo 6.1 stabilisce che: “Gli Stati parti del presente Patto riconoscono il diritto al lavoro, che implica il
diritto di ogni individuo di ottenere la possibilità di guadagnarsi la vita con un lavoro
liberamente scelto e accettato, e prenderanno le misure appropriate per garantire tale diritto”
.

Con particolare riferimento alle donne, poi, esiste la Convenzione delle Nazioni Unite sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) che all’articolo 6 recita: “Gli Stati parte devono prendere ogni misura adeguata, comprese le disposizioni legislative, per reprimere tutte le forme di tratta delle donne e sfruttamento della prostituzione”. Allo stesso modo è opportuno ricordare l’obbligo che la Convenzione impone agli Stati parte a garantire e rispettare l’uguaglianza delle donne in temi quali l’accesso all’educazione, al lavoro, alla salute, alla casa e alle opportunità di sviluppo politico e sociale, riconoscendo che sono queste disuguaglianze a fare delle donne le vittime principali di questo crimine.

Con un particolare focus alla vulnerabilità dei più piccoli, esiste la Dichiarazione ONU dei Diritti del Fanciullo che contiene vari principi relativi ai diritti e alle tutele che spettano ai minori. In particolare, il principio 9 segnala che: “il fanciullo deve essere protetto contro ogni forma di negligenza, di crudeltà o di sfruttamento. Egli non deve essere sottoposto a nessuna forma di tratta… ”.

Lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, firmato nel 1998, rappresenta uno strumento di protezione dei diritti delle donne e bambini vittime del traffico nel momento in cui riconosce, all’articolo 7, i crimini contro l’umanità e presentare un amplia lista di fatti che possono essere considerati tali: “Stupro, schiavitù sessuale, prostituzione forzata, gravidanza forzata, sterilizzazione forzata e altre forme di violenza sessuale di analoga gravità”. Questo riconoscimento apre la possibilità a indagini su casi di traffico di donne per sfruttamento sessuale. Anche se la tratta di persone con altri fini non è espressamente inclusa nello Statuto, il riferimento del paragrafo K a “Altri atti inumani di analogo carattere diretti a provocare intenzionalmente grandi sofferenze o gravi danni all’integrità fisica o alla salute fisica o mentale” permetterebbe l’avvio di un’indagine anche nel caso in cui il traffico si realizzi per fini di sfruttamento nel lavoro domestico o per contrarre matrimoni forzati.

Come si vede, dunque, gli strumenti internazionali sono molti e chiari nello stabilire che gli Stati devono lottare per la difesa della persona umana, per la sua dignità e integrità, sanzionando quegli atti che violano i diritti riconosciuti. Tuttavia, i governi e le legislazioni nazionali non sono ancora in grado di arginare il fenomeno (tanto meno di debellarlo). Permangono fattori sociali, politici ed economici che mettono a rischio la popolazione più vulnerabile. A proposito del traffico delle donne, poi, va costatato che alcuni Stati poco o niente fanno per prevenirlo e combatterlo. Molti di questi si limitano a mere azioni repressive, andando a colpire le vittime e non chi gestisce queste tratte.

Il traffico delle persone è un problema sociale che va affrontato partendo da una prospettiva di tutela dei diritti umani, come un attentato contro la vita, la sicurezza e l’integrità delle persone. Gli Stati, insieme alle organizzazioni di difesa dei diritti umani hanno una lunga strada da percorrere, perché se è vero che numerosi rapporti internazionali hanno richiamato l’attenzione sulla veloce crescita di questo problema mondiale, le azioni di prevenzione, difesa e sanzione in molte aree sono ancora scarse.

Schede e storico autori