Difficili equilibri: i minori stranieri non accompagnati tra diritti e responsabilità. Un resoconto da Napoli.

Andrea Morniroli, Glauco Iermano e Lassaad Azzabi dedicano il loro articolo ai minori stranieri non accompagnati, cioè a adolescenti o giovanissimi che emigrano da soli. Dopo avere ricordato le specifiche difficoltà che questi ragazzi incontrano, i tre autori raccontano l’esperienza della Cooperativa Dedalus di Napoli che da oltre 10 anni lavora con loro e sottolineano gli effetti positivi che hanno avuto sull’inclusione pratiche imperniate sul riconoscimento reciproco dei diritti e dei doveri della cittadinanza.

I minori stranieri non accompagnati sono adolescenti e giovanissimi migranti che intraprendono il progetto migratorio da soli, senza il sostegno di un familiare di riferimento. Sono piccoli/grandi viaggiatori che, oltre alle fatiche del viaggio e dell’incontro con mondi nuovi, si caricano sulle spalle il peso e la responsabilità dell’investimento che spesso l’intera famiglia ha fatto su di loro, individuandoli, nell’ambito familiare, come i più capaci di avere successo e quindi di garantire una prospettiva di sopravvivenza e benessere per l’intero nucleo familiare.

La responsabilità è così forte da essere vissuta in modo assoluto e prioritario rispetto a qualsiasi altro impegno o desiderio. Per essa, spesso si sacrifica ogni altro bisogno, materiale o immateriale che sia. A volte, per assicurarsi ogni mese la cifra da mandare a casa, anche la salute e la sicurezza personale sono messe a repentaglio e sono accettate forme pesanti di sfruttamento e coercizione. I luoghi di inserimento lavorativo sono, infatti, spesso i settori delle economie informali, sommerse e fortemente precarie (lavavetri, vendita cover telefonini, impieghi a giornata manovalanza in edilizia, o nei traslochi), dove sono elevati i rischi di grave sfruttamento – in alcuni casi al limite del para-schiavismo – e di infortunio.

La cooperativa sociale Dedalus da più di 10 anni prova, a Napoli, a lavorare con questi giovani stranieri. Non è stato e non è facile. Vuoi per i continui cambiamenti nei flussi di ragazzi, ad iniziare da quelli riguardanti la loro nazionalità (a Napoli, in pochi anni, si sono alternati magrebini, sub sahariani e adesso bengalesi), vuoi perché, soprattutto in fase iniziale, il problema è costruire percorsi che non mettano in alternativa l’offerta di servizio con la necessità di mantenere gli impegni assunti con la famiglia al momento della partenza.

Proprio per questo, il sistema di intervento è stato costruito su più livelli, caratterizzati da una diversa densità di presa in carico: si va dal primo contatto in strada, con attività informative e di riduzione dei rischi, al sostegno all’inserimento abitativo e all’inclusione lavorativa.

Nucleo centrale è il centro interculturale a bassa soglia “Nana’”. Uno spazio diurno, a cui, in qualsiasi momento della giornata, i ragazzi possono rivolgersi per trovare informazioni, orientamento, tutela legale, spazi di socialità, attività educative e formative. E, ancora, elemento fondamentale e forse propedeutico ad ogni altro intervento, una dimensione di accoglienza accessibile e immediata, in cui nessuno chiede qualcosa in cambio, ma semplicemente ospita, anche solo per fare una chiacchierata, bere un the caldo, relazionarsi con gruppi di pari, accedere al diritto che dovrebbe avere ogni adolescente di perdere un po’ di tempo.

È in questa dimensione di accoglienza che spesso scatta la relazione e la fiducia con gli operatori e soprattutto con le mediatrici e i mediatori linguistico-culturali, soggetti fondamentali per attivare le diverse offerte e i differenti percorsi di emancipazione e autonomia.

Il centro poi si avvale di una collaborazione e di un coordinamento diffuso con un sistema ampio di servizi ed attori territoriali, a volte gestiti dalla stessa cooperativa, altre volte attivati da diversi attori del pubblico o del privato sociale. Tra questi, vale la pena di segnalare la rete di accoglienza diffusa che propone differenti dimensioni di ospitalità residenziale, dalla fase della prima accoglienza, a quella degli alloggi di semi-autonomia e/o appartamenti protetti e a quella dell’housing sociale. Si tratta di un sistema costruito su strutture che lavorano ognuna su piccoli numeri e che per questo può adeguare l’offerta di accoglienza al grado di autonomia del giovane migrante nelle diverse fasi del proprio percorso di emancipazione (per altro, non accettare la logica dei grandi numeri è utile non solo a mantenere la qualità dei servizi, ma anche ad evitare di scivolare in derive che, come abbiamo visto nei recenti fatti di Roma, finiscono per mercificare cose e persone).

Altra area di intervento è quella dei percorsi educativo-formativi e delle politiche attive del lavoro. Al riguardo, da un lato, si è stabilizzata una collaborazione con scuole e Centri Territoriali Permanenti volta a preparare i ragazzi agli esami (da sostenere poi come privatisti), con corsi realizzati in orari compatibili con le loro attività “lavorative”. D’altro lato, si è dato vita a specifiche attività di sostegno all’inserimento lavorativo, avvalendosi delle professionalità e delle metodologie di orientamento rese possibili dalla “area lavoro” della Cooperativa. Molto importante, in questa prospettiva, è la rete orizzontale di collaborazione che negli anni la Cooperativa ha costruito con un centinaio di piccole imprese, attività commerciali e botteghe artigiane del territorio che ospitano i tirocini formativi e formazione on the job. Una collaborazione che, pur in un contesto come quello che caratterizza il mercato del lavoro in Campania, ogni anno permette non solo una decina di inserimenti lavorativi, ma anche l’acquisizione di competenze di base e trasversali che i ragazzi coinvolti possono fare valere in altri ambiti.

Tutte le attività proposte sono rese coerenti grazie alla definizione di un “programma individualizzato di cittadinanza”, basato sull’individuazione degli obiettivi; delle azioni da svolgere; delle tappe e dei tempi di realizzazione; delle modalità di monitoraggio e valutazione del programma stesso. Il pieno coinvolgimento del minore è ricercato anche attraverso la sottoscrizione, da parte di tutte le parti in gioco, di una sorta di “contratto sociale”, un contratto in cui tutti si impegnano in uno scambio in cui ognuno riceve ma assume anche responsabilità.

L’aspettativa è di stimolare non solo il minore a sentirsi parte attiva e partecipante al proprio percorso di emancipazione, ma anche gli operatori sociali a riconoscere l’altro come protagonista, anziché come mero soggetto passivo, evitando di offrire soluzioni pre-confezionate.

E’ un ribaltamento importante, che sprona a rispettare le persone accolte; a abbandonare posizioni giudicanti che spesso producono rottura della relazione o cronicizzazione delle situazioni di assistenza; a rompere “l’incantesimo rassicurante della scrivania” che, se serve a tranquillizzare l’operatore, troppo spesso sedimenta e stabilizza odiose asimmetrie di potere in cui la persona accolta perde senso, fisicità e capacità di autonomia.

Un risultato importante è stato il consolidamento, nel tempo, di gruppi di pari, che non solo hanno partecipato ad alcune attività del centro (come un recente laboratorio dove gli stessi minori migranti hanno progettato strumenti informativi per i loro coetanei tesi a aumentare la capacità di riconoscere le situazioni di grave sfruttamento lavorativo), ma che hanno dato vita a esperienze di auto-organizzazione a tutela dei diritti o per denunciare situazioni di discriminazione o disattenzione istituzionale.

Ma la cosa più importante forse è che partecipare in modo attivo, sentire di essere ascoltati e di poter decidere alla fine produce anche affetto ed empatia tra destinatari e operatori sociali. Una relazione di fiducia e di appartenenza ben evidenziata dal seguente episodio: qualche tempo fa due ragazzi frequentatori abituali di “Nana” e inseriti in alcune attività del centro vengono fermati ad un semaforo dalla polizia municipale e in quanto minori portati in una comunità. Dopo due giorni scappano e appena fuori, di nuovo in strada, telefonano al mediatore culturale del centro per chiedere se l’assenza di due giorni comportava l’espulsione dal corso di italiano e dal percorso per accedere all’esame di licenza elementare che stavano seguendo. Da un servizio si scappa, da un altro si ha paura di essere cacciati. Se c’è scelta, se c’è ascolto, se c’è la percezione di essere rispettati con più facilità si riconosce il valore dell’opportunità offerta e, quindi, su di essa si investe e per essa ci si impegna.

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