Dai Millennium Development Goals (MDGs) ai Sustainable Development Goals (SDGs): Lost in Translation

Monni e Pallottino ricordano che nel 2015 verranno a scadenza gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio e che è in corso il dibattito per definire i nuovi obiettivi. Monni e Pallottino illustrano il risultato provvisorio di questo dibattito che consiste in una lista di 17 nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e sostengono che in questa lista sono presenti tutte le parole chiave del ‘politically correct’ dello sviluppo, ma sembra mancare la cosa più importante: il coraggio di rompere con le vecchie idee.

Di Agenda post-2015 sui media italiani come (purtroppo) anche nelle aule delle nostre università si discute poco, eppure da almeno quattro anni (dal vertice tenutosi nel 2010 a New York) i governi nazionali e società civile sono impegnati in un ampio e intenso dibattito per definire l’agenda che sostituirà gli obiettivi del Millennio, meglio conosciuti come MDGs(Millennium Development Goals).

Gli MDGs sono otto obiettivi, elaborati per tradurre in concreto la Dichiarazione del Millennio sottoscritta nel settembre del 2000 alle Nazioni Unite da 191 Capi di Stato e di Governo. Nati con l’ambizione, tra le altre cose, di dimezzare la povertà e garantire un’istruzione primaria universale (forse perdendo, però, alcuni degli elementi più innovativi presenti proprio nella Dichiarazione del Millennio), essi sono stati inizialmente accolti dalla comunità scientifica con più di qualche scetticismo; questo non ha però impedito, che gli MDGs diventassero negli ultimi quindici anni il framework centrale per la cooperazione internazionale e, più in generale, per le politiche pubbliche orientate allo sviluppo.

Tra i motivi del loro successo vi è l’indiscutibile chiarezza del background teorico che li caratterizza. Essi rappresentano, infatti, la sintesi di quella nuova idea di sviluppo che si era diffusa a partire dai primi anni novanta, grazie soprattutto alla pubblicazione nel maggio del 1990 del primo rapporto annuale dell’UNDP (United Nations Development Programme), e che aveva introdotto il concetto di «sviluppo umano». Alla base della nuova concezione teorica, vi era la collocazione delle persone al centro dello sviluppo, nella convinzione che la dimensione umana dello sviluppo fosse stata trascurata nel passato a causa di un’eccessiva enfasi posta sulla crescita economica e di una scarsa attenzione ad aspetti quali la conoscenza e il diritto a una vita lunga e sana. A un solido bagaglio teorico gli obiettivi del millennio sommavano un ampio sostegno e riconoscimento pubblico oltre che la semplicità e chiarezza degli obiettivi.

La premessa su cosa sono stati gli MDGs – che, come richiamato, termineranno il loro compito nel 2015 – è indispensabile per meglio comprendere il dibattito odierno e tutti i problemi relativi alle proposte attualmente in campo. Si tratta di un dibattito ampio e per certi aspetti piuttosto segmentato che ha trovato una sintesi nell’ultima Assemblea Generale con il recepimento del risultato dei lavori dell’Open Working Group (Owg), un meccanismo intergovernativo, nominato dalla 68esima sessione dell’Assemblea generale dell’Onu, composto da 30 membri nominati dai cinque gruppi regionali delle Nazioni Unite, per dare seguito agli impegni della conferenza Rio+20 sullo sviluppo sostenibile. Al dibattito che si è sviluppato ha contribuito anche il Sustainable Development Solutions Network, un network globale indipendente di centri di ricerca e università coordinato da Jeffrey Sachs consigliere speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite sugli MDGs; ma anche istanze globali, come l’High Level Panel of Eminent Persons, ed altre iniziative, spesso sollecitate dallo stesso Segretario Generale all’interno del sistema delle agenzie delle NU, e molte altre organizzazioni internazionali come l’Unione Europea, o l’OCSE. Non sono mancate le iniziative per promuovere il contributo dal basso, come nel caso di the World We Want 2015, mentre la società civile globale ha dato vita alla campagna Beyond2015.

La molteplicità degli attori in campo è indubbiamente un aspetto caratterizzante del processo di elaborazione, e viene rivendicata, soprattutto all’interno delle Nazioni Unite come un elemento qualificante rispetto a quanto avvenuto, in termini di coinvolgimento, nel 2000. La complessità del processo si traduce tuttavia in un certo grado di segmentazione, anche forse in ragione di una leadership non particolarmente incisiva, e di un contesto internazionale che sembra più segnato dalla crisi e dalla paura piuttosto che dalla produzione di grandi idee come invece era avvenuto nel processo che aveva portato agli MDGs: i moltissimi contributi al dibattito attuale, spesso relativamente scollegati tra di loro e frutto di percorsi indipendenti e settoriali, potrebbero non rappresentare un buon viatico per una sintesi efficace nella direzione di un cambiamento a favore delle comunità più povere e vulnerabili.

Ma quale è il punto della situazione a quattro anni dal vertice tenuto a New York nel 2010? La proposta che l’Open Working Group ha posto all’attenzione dell’assemblea generale prevede ben 17 obiettivi e 160 targets, che dovrebbero costituire il punto di partenza per i cosiddetti SDGs (Sustainable development Goals) [1. Per un riferimento puntuale agli SDGs si veda: http://sustainabledevelopment.un.org/focussdgs.html] destinati a sostituire gli otto MDGs del 2000. Quali le differenze sostanziali tra gli SDGs e gli MDGs? Intanto la proposta del Owg sembra priva di quella solidità teorica che caratterizzava invece gli MDGs. L’elenco degli obiettivi, per non parlare di quello infinito dei targets, sembra disegnato più per i funzionari ONU (che ne dovranno eventualmente misurare il raggiungimento) e per non scontentare nessuno dei molteplici attori del negoziato, piuttosto che per fissare bene e in maniera chiara gli obiettivi importanti da raggiungere; gli MDGs e ancor più la dichiarazione del Millennio, pur senza costituire una totale rottura, segnavano invece indubbiamente un cambio di passo rispetto all’impostazione teorica fino ad allora adottata. Un coraggio che non sembra invece caratterizzare gli SDGs dove la pur meritevole attenzione alla sostenibilità (più ambientale che sociale e economica a dire il vero, e comunque senza cogliere la necessità di fondo nell’integrare le tre dimensioni), universalità ed equità non elimina la sensazione di trovarsi decisamente dentro il paradigma dominante. Gli stessi indicatori che presumibilmente saranno utilizzati per la misurazione di obiettivi e target sembrano troppo ancorati ad un approccio piuttosto tradizionale alla crescita economica, tradotta in un framework molto complesso e forse difficilmente applicabile alla specificità delle diverse situazioni. Peraltro agli MDGs si è rimproverato proprio di non aver saputo cogliere queste specificità.

In conclusione, nella proposta messa a punto dal Owg vi siano praticamente tutte le parole chiave del ‘politically correct’ dello sviluppo ma sembra mancare della cosa più importante: il coraggio di rompere con le vecchie idee. C’è quasi da rimpiangere gli MDGs, malgrado tutti i loro limiti, e dopo quattro anni di negoziati, pensando al passaggio dagli MDGs agli SDGs, viene proprio da dire: Lost in Translation.

Schede e storico autori