Cosa non dimenticare quando parliamo di “abitazione”: i modelli normativi italiano e spagnolo

Marta Capesciotti dà conto delle esperienze degli ordinamenti giuridici italiano e spagnolo relativamente all'articolata interazione tra la connotazione privatistica del bene "casa" e la natura pubblicistica del "diritto sociale all'abitazione" a questo collegata. Capesciotti inoltre ricorda il percorso del giudice costituzionale nei due Paesi per il riconoscimento del diritto all'abitazione, le politiche tendenzialmente poste in essere per darvi attuazione, oltre che gli aspetti inerenti il riparto di competenze tra i diversi livelli di governo.

Il dibattito pubblico attuale, nei suoi risvolti politici, economici e giuridici, appare ampiamente diretto a sciogliere i numerosi nodi relativi alla tassazione sugli immobili, particolarmente intricati quando si tratta della prima casa di abitazione. Ciò detto, l’analisi di questo tema non può permettersi di tralasciare alcune considerazioni di fondo sulla natura stessa del bene “casa”.

L’abitazione, infatti, viene comunemente considerata come un bene tendenzialmente scarso, oggetto di appropriazione privatistica. In tal senso, la casa costituisce nella mentalità corrente un bene economico assurto a simbolo stesso del benessere personale e familiare, e i risparmi vengono spesso investiti nell’acquisto di un immobile per sé e/o per i propri figli, considerandolo come il lascito più prezioso in un ottica di welfare familista quale è quello italiano o, in generale, mediterraneo.

In tal modo, nel corso del tempo, è andata pian piano sfumando la vertenza sociale strettamente intrinseca alla “casa” come bene imprescindibile per la soddisfazione di bisogni non solo biologici (tutela della salute, riparo dalle intemperie e così via) ma anche sociali (tra gli altri tutela della vita individuale e la creazione di un nucleo familiare). Tralasciare tale natura sociale, spesso completamente schiacciata dalla componente di natura strettamente economica del “bene immobiliare” in senso privatistico, rischia di far perdere di vista l’elemento fondamentale relativo all’abitazione, ovvero il mandato di derivazione costituzionale attribuito ai pubblici poteri, volto a garantire l’accesso all’abitazione al maggior numero possibile di individui che ne abbiano la necessità.

Al fine di contestualizzare quanto appena affermato, si prendono in considerazione due ordinamenti giuridici europei, quello italiano e quello spagnolo, nei quali il riconoscimento costituzionale del diritto all’abitazione è il frutto di una complessa opera ricostruttiva del testo costituzionale, operata dalla dottrina, ma soprattutto dalla giurisprudenza delle Corti costituzionali.

In entrambi i casi, è prevista in Costituzione una disposizione che, seppur succintamente, menziona l’abitazione. Nel caso dell’ordinamento italiano, l’art. 47 cita quest’ultima come uno dei possibili utilizzi del risparmio popolare; nel caso dell’ordinamento spagnolo, l’art. 47 prevede esplicitamente che tutti gli spagnoli hanno il diritto di usufruire di un’abitazione che viene definita “digna e adecuada”. A partire da tale dato normativo, la Corte costituzionale italiana e il Tribunale costituzionale spagnolo hanno intrapreso, non senza contraddizioni, un’opera interpretativa finalizzata a comprendere la natura di tale riferimento all’abitazione, arrivando a sostenere, salvo isolate ipotesi, che l’accesso alla casa costituisce un diritto sociale di natura fondamentale che, lungi dal determinare il diritto di ciascuno di ricevere in proprietà un’immobile, impone un mandato a tutti i pubblici poteri affinché predispongano le misure necessarie a rendere l’aspirazione ad un’abitazione un diritto effettivamente garantito a tutti coloro che ne hanno bisogno.

In tal senso, il doveroso bilanciamento con il diritto costituzionale alla proprietà risulta evidente. Considerato che la proprietà ha perso da tempo la natura di diritto fondamentale assoluto e incomprimibile, propria della concezione liberale, essa dovrà essere ricomposta con il diritto sociale costituzionalmente previsto all’abitazione. Tale ricomposizione, seppure a prima vista conflittiva, in realtà può rivelarsi conciliabile se si considera che sia la Costituzione italiana che quella spagnola prevedono – rispettivamente negli articoli 42 e 33 – che la tutela della proprietà privata sia subordinata alla funzione sociale della stessa in un bilanciamento che vede quest’ultima  prevalere sulla prima, al fine di garantire la piena realizzazione del modello dello Stato sociale e del principio costituzionalmente sancito dell’uguaglianza sostanziale. Bilanciamento che incontra in ogni caso il limite della impossibilità, da parte del legislatore, di comprimere del tutto il nucleo essenziale del diritto di proprietà stesso. In questo scenario, la garanzia dell’abitazione, secondo il mandato disposto dagli artt. 47 delle due Costituzioni, potrebbe costituire una delle possibili accezioni dell’utilità sociale della proprietà.

Limitarsi al dato di un riconoscimento costituzionale del diritto all’abitazione – che non si configura, tra l’altro, come un riconoscimento esplicito ma è frutto di un lungo e tortuoso lavoro interpretativo – non è ovviamente sufficiente. Infatti, l’ulteriore elemento da considerare concerne le politiche che materialmente il legislatore statale, spagnolo e italiano, ha realizzato in materia di abitazione nel corso degli anni. Nell’impossibilità di riportare un’analisi dettagliata, ci si limita in questa sede ad indicare le linee di tendenza maggiormente rilevanti che accomunano i due sistemi giuridici.

In primo luogo, come evidenziato in principio, la legislazione ordinaria ha da sempre privilegiato l’accesso all’abitazione in regime di proprietà: questa scelta ha mirato alla creazione “fideistica” di una classe media di proprietari politicamente stabile, vincolata generalmente alla contrazione di un mutuo e quindi legata ad un reddito in parte destinato al pagamento puntuale dello stesso. Sulla base di tale scelta politica e legislativa, non stupisce lo scarso peso dato negli anni alle politiche finalizzate a rendere maggiormente accessibile ed equo il settore della locazione nonché le risorse sempre più ridotte destinate all’edilizia residenziale pubblica.

In secondo luogo, un spazio crescente è stato riconosciuto da parte dei poteri pubblici ai capitali privati. Per quanto riguarda il caso italiano, la parabola crescente ha avuto inizio già con le operazioni di cartolarizzazione ai fini dell’alienazione del patrimonio edilizio pubblico negli anni ’90 del secolo scorso; nel caso spagnolo, d’altro canto, l’ingresso massiccio di capitali privati di origine finanziaria nel mercato dell’abitazione, accompagnato dalla blanda regolazione dei mutui ipotecari, funzionale a favorire l’accesso all’abitazione in regime di proprietà, costituiscono alcuni dei principali fattori determinanti la crisi finanziaria dell’economia spagnola, oltre che la cosiddetta “burbuja inmobiliar”.

Tali osservazioni risultano maggiormente comprensibili se si considera che, in entrambi gli ordinamenti, il tema dell’abitazione ha assunto un peso crescente non tanto in relazione al suo carattere di bene sociale funzionale al godimento di numerosi diritti costituzionalmente sanciti, bensì in quanto bene economico inserito in un settore, quale quello immobiliare ed edilizio, ritenuto centrale per il rilancio della crescita economica. Difatti, gran parte delle misure legislative introdotte dal legislatore statale, sia nel caso della Spagna che dell’Italia, hanno mirato al rilancio del settore delle costruzioni ai fini della ripresa economica e della riduzione della disoccupazione: scelta questa che in molti casi ha portato alla costruzione di numerose abitazioni rimaste inutilizzate e che nel complesso ha evidentemente fallito l’obiettivo di favorire l’accesso all’abitazione ai gruppi sociali che versano in una condizione di disagio abitativo. Tutto questo si è potuto realizzare in totale assenza di qualsiasi tutela dei soggetti svantaggiati dal costante aumento dei prezzi degli immobili – sia in regime di proprietà che di locazione – oltre che a favore di proprietari, potenziali o effettivi.

Infine, un’ ulteriore elemento di criticità relativo al bene “casa”, emergente dal quadro istituzionale, è dato dalla complessità del riparto competenziale tra i differenti livelli di governo.

Concentrando l’analisi sugli ultimi quindici anni, nel caso italiano l’attuale formulazione del Titolo V della Costituzione, ed in particolare l’art. 117 recante il riparto della funzione legislativa tra Stato e Regioni, non menziona esplicitamente la materia dell’edilizia residenziale pubblica e delle politiche in materia di abitazione: per evitare che tale lacuna potesse essere interpretata come un conferimento della potestà in tale ambito alla competenza residuale delle regioni, la Corte costituzionale, con sent. 94/2007, ha interpretato tale materia come trasversale, destrutturandola in tre livelli normativi differenti, uno di competenza esclusiva dello stato (ex art. 117, co. 2, l. m, Cost.), ovvero la definizione degli obiettivi minimi e dei principi generali in materia; uno di competenza concorrente tra Stato e Regioni in quanto afferente alla materia “governo del territorio” (ex art. 117, co. 3, Cost.), riguardante la programmazione degli interventi; ed, infine, uno di competenza residuale delle Regioni (ex art. 117, co. 4, Cost.), concernente la  realizzazione e la gestione degli interventi.

Per quanto riguarda il caso dell’ordinamento spagnolo, il dibattito giuridico e politico in materia si è riacceso con l’approvazione, a partire dal 2004, dei nuovi statuti delle Comunità Autonome i quali includono veri e propri cataloghi di diritti, tra i quali appunto il diritto all’abitazione, che tuttavia dà origine a non pochi problemi di collocazione giuridica: riconoscere a livello locale il valore normativo di tali diritti significa, infatti, aprire la strada a corredi di diritti diversificati sul territorio, poiché consente al legislatore autonomico di porre in essere politiche sociali differenziate ed anche proattive rispetto all’inerzia del legislatore statale.

L’opacità del sistema competenziale in materia di abitazione ha, nel corso del tempo, comportato un sovrapporsi di disposizioni di legge ed un corposo contenzioso di fronte al giudice costituzionale, che sicuramente non ha facilitato l’elaborazione di politiche continuative e radicate sul territorio in materia di abitazione. Senza contare, inoltre, che la funzione degli Enti locali, in entrambi gli ordinamenti, è stata gradualmente compressa e relegata ad una fase esecutiva della programmazione regionale in materia, senza considerare che essi costituiscono il livello di governo che, per la sua vicinanza con il tessuto sociale, meglio potrebbe esprimere e soddisfare i bisogni espressi dalla popolazione residente.

Alla luce di tali riflessioni, non si può che concludere che per parlare di abitazione, nonché per regolarne la produzione, l’accesso e, nondimeno, la relativa tassazione, si debba necessariamente tenere conto della sua natura pluridimensionale, sottesa ad un’imprescindibile connotazione di bene sociale fondamentale per il pieno dispiegamento delle potenzialità di ogni persona, sia nella sua dimensione individuale, che nelle formazioni sociali in cui si inserisce, in primis la famiglia.

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