Chi sono i lavoratori più ricchi? Un ritratto dei top 1 per cento in Europa

Teresa Barbieri e Francesco Bloise esaminano una recente pubblicazione dell’OCSE che analizza le caratteristiche socio-demografiche e occupazionali dei cosiddetti “top-earner” in Europa, cioè di coloro che si trovano nel top 1 per cento della distribuzione dei redditi da lavoro dipendente. Barbieri e Bloise sintetizzano i risultati dello studio sulle caratteristiche dello status occupazionale e sull’importanza del titolo di studio e del genere, sottolineando gli elementi comuni ai vari paesi ma anche alcune significative differenze.

Negli ultimi anni l’attenzione verso i ricchi e super-ricchi è cresciuta notevolmente, sia all’interno del dibattito politico, sia di quello accademico. Basti pensare come “noi siamo il 99 per cento”, lo slogan simbolo di Occupy Wall Street, movimento di protesta nato nel settembre 2011 a New York, abbia contribuito a forgiare nell’immaginario collettivo l’idea che un esiguo 1 per cento si goda ingiustamente la stragrande maggioranza della ricchezza, mentre al “restante” 99 per cento non resta che spartirsi le briciole. A conferma di ciò, lo scorso gennaio è stato pubblicato il rapporto Oxfam sulla ricchezza nel mondo dal titolo “Un’economia al servizio dell’1 per cento”, che ci restituisce il ritratto di “un mondo per pochi”, dove l’1 per cento della popolazione mondiale possiede più del restante 99 per cento.

Ma chi sono i ricchi e i super-ricchi, questa volta in termini di reddito? In un recente working paper pubblicato dall’OECD “Who are the top 1% earners in Europe, Oliver Denk ha analizzato le caratteristiche socio-demografiche e occupazionali dei cosiddetti “top 1 per cent earner” in Europa, ossia dei lavoratori dipendenti posizionati in cima alla distribuzione del reddito da lavoro, escludendo i redditi da capitale e da lavoro autonomo. Nel suo studio, infatti, Denk non analizza i patrimoni né i redditi ad essi collegati, ma si concentra su chi percepisce un reddito da lavoro più alto del 99 per cento degli occupati.

L’analisi di Denk è stata condotta sui dati raccolti nell’indagine Eurostat Structure of Earnings Survey (SES) del 2010, un dataset molto ricco che contiene informazioni su circa 10 milioni di individui residenti in 17 paesi dell’Unione Europea, più la Norvegia. I risultati dello studio mostrano che l’1 per cento più ricco in Europa è rappresentato mediamente da maschi laureati, di età compresa tra i 40 e i 50 anni, perlopiù dirigenti e manager occupati nei settori finanziario, manifatturiero e commerciale. Se si considerano i singoli paesi emerge, però, un certo grado di eterogeneità: nei paesi dell’Europa dell’est, ad esempio, i top earner sono molto più giovani rispetto ai loro colleghi residenti nell’Europa occidentale. In Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria l’età media degli individui presenti nel top 1 per cento è, infatti, inferiore ai 40 anni, nonostante la forza lavoro totale non risulti essere più giovane rispetto agli altri paesi inclusi nell’analisi. Denk attribuisce questa differenza alle trasformazioni che la struttura produttiva dell’ex Unione Sovietica ha subito dopo la caduta della cortina di ferro e in particolare al fatto che i lavoratori che negli anni ’80, cioè quando ancora vigeva il comunismo nell’Europa dell’est, già erano nel mercato del lavoro, hanno avuto minori possibilità, rispetto ai loro colleghi dell’Europa occidentale, di occupare 25 anni dopo le posizioni più elevate della distribuzione del reddito.

Inoltre, per quel che riguarda le differenze di genere, le donne sembrano avere molta più difficoltà a percepire retribuzioni estremamente elevate (figura 1): in media, meno del 20 per cento dei lavoratori appartenenti al top 1 per cento è di sesso femminile. Se si guarda, invece, al restante 99 per cento degli occupati, le donne rappresentano quasi la metà dei lavoratori. Lo studio sottolinea anche che nei paesi in cui è maggiore la presenza femminile all’interno del 99 per cento dei lavoratori meno ricchi, è anche più alta la percentuale di donne nel top 1 per cento. Dunque sembra esservi una correlazione positiva tra quota di occupazione femminile e quota di donne nelle posizioni più alte della distribuzione del reddito. Questo effetto dell’espansione dell’occupazione femminile va considerato assieme a quello di ampliamento del gender wage-gap (Olivetti e Petrongolo, 2008), ossia della distanza media tra le retribuzioni degli uomini e quelle delle donne, dovuto all’assunzione di lavoratrici poco istruite.

Figura 1: Quote medie di uomini e donne

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Per quel che riguarda il titolo di studio posseduto dai lavoratori presenti nel top 1 per cento (figura 2), in tutti i 18 paesi inclusi nell’analisi, l’essere laureati sembra aumentare la probabilità di ottenere un’occupazione ad altissima retribuzione. Il titolo di studio è particolarmente importante in molti paesi dell’Europa dell’est (Estonia, Polonia, Slovacchia, Ungheria), dove i laureati sono circa il 90 per cento dei top-earner. In Italia, invece, il successo economico dei lavoratori sembra essere meno legato al conseguimento del titolo di studio più elevato: rispetto alla media degli altri paesi, solo il 60 per cento dei lavoratori top-earner ha un diploma di laurea.

Figura 2: Quota di lavoratori laureati nel top 1% e nel restante 99%

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La figura 3 mostra che la quota di reddito da lavoro, ottenuto come somma di salari e bonus, detenuta dal top 1 per cento, è in media pari al 5-6 per cento del totale. Questa quota raggiunge i valori più elevati nel Regno Unito ma è molto alta anche nei paesi dell’est (Polonia, Repubblica Slovacca e Ungheria). In quelli scandinavi (Finlandia, Norvegia e Svezia) e in Belgio e Spagna essa è molto più contenuta.

Figura 3: Reddito da lavoro del top 1 per cento in rapporto al reddito da lavoro totale

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L’analisi di Denk ha inoltre sottolineato l’esistenza di una correlazione positiva tra il livello di disuguaglianza totale delle retribuzioni, misurata dall’indice di Gini (asse dell’ascisse) e il livello di disuguaglianza al top della distribuzione, misurata dalla quota di reddito da lavoro detenuta dagli occupati a più alta retribuzione (asse dell’ordinate) (figura 4). In particolare, Regno Unito, Portogallo e Ungheria risultano essere i paesi con le peggiori performance, mentre la Finlandia, tra tutti quelli considerati, è il paese con la minore disuguaglianza delle retribuzioni, sia generale che al top della distribuzione.

Figura 4: Livello di disuguaglianza delle retribuzioni totale e al top

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Lo studio infine, tramite un’analisi di regressione, quantifica statisticamente le caratteristiche individuali che più incidono sulla probabilità di raggiungere il top 1 per cento. I risultati ottenuti confermano quanto emerso dall’analisi descrittiva: essere più anziano, maschio, laureato e occupato in posizioni manageriali sono caratteristiche in grado di aumentare la probabilità di valicare la soglia del novantanovesimo percentile. Più precisamente, la probabilità di essere tra i top-earner è in media dell’1 per cento più elevata per gli individui con un’età superiore ai 40 anni rispetto a quelli con un’età compresa tra i 30 e i 39 anni; di 1,25 punti percentuali maggiore per gli uomini rispetto alle donne; di 2 punti percentuali più elevata per i laureati rispetto ai lavoratori con un titolo di studio inferiore.

In conclusione, lo studio di Denk fornisce una descrizione molto dettagliata su chi siano i top-earner in Europa, fornendo risultati in linea con altre analisi precedenti (nonostante la mancata inclusione dei redditi da capitale e da lavoro autonomo) e mettendo in luce importanti differenze tra i paesi europei. Una volta apprese le caratteristiche dei lavoratori più ricchi sarebbe, a nostro avviso, interessante interrogarsi anche su quali sono i meccanismi che portano individui con determinate caratteristiche in cima alla distribuzione dei redditi e sul perché alcune caratteristiche come, ad esempio, il titolo di studio in alcuni paesi, tra cui l’Italia, sembrano contare meno.

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