Chi mangia patate, chi beve un bicchiere, chi solo ogni tanto, chi tutte le sere…cosa dicono i dati?

Stefano Filauro basandosi sulle informazioni raccolte nell’indagine EU-SILC analizza, da un lato, quanto siano diffuse nei diversi paesi europei le difficoltà di accesso al cibo e, dall’altro, quanto esteso sia il fenomeno dell’autoproduzione e autoconsumo di beni alimentari. Filauro documenta le notevoli diversità tra i paesi considerati e sottolinea, tra l’altro, che l’autoproduzione in alcuni casi interessa il 30% delle famiglie e sembra in crescita, così come è in crescita la quota di famiglie con problemi di deprivazione alimentare.

Siamo stati abituati da anni di forte esposizione mediatica ad associare il cibo a talent show di culto, ad attività imprenditoriali di successo, a collane editoriali di cucina, persino ad agenzie di rating che valutano la qualità dei piatti e l’originalità delle loro presentazioni. Eppure, oltre l’aneddotica e la food-mania che ha invaso la cultura europea, altre dimensioni dell’arcipelago cibo meritano attenzione, anche per capire meglio come stanno le cose sulla disuguaglianza alimentare alla quale, in fondo, rinviava Rino Gaetano, molti anni fa, con i versi di “Ma il cielo è sempre più blù”, richiamati nel nostro titolo.

Questa scheda si concentra, in particolare, sulle difficoltà di accesso al cibo in alcuni paesi europei. Più precisamente, facendo uso delle informazioni raccolte nell’indagine EU-SILC (European Union Statistics on Income and Living Conditions) condotta annualmente in tutti i paesi dell’Unione Europea, la scheda presenta e discute, anche mostrandone l’evoluzione temporale, alcuni dati relativi alle quote di famiglie che si dedicano all’autoproduzione di beni alimentari o che dichiarano di non potersi permettere un pasto di adeguato contenuto proteico almeno una volta ogni due giorni.

La prima questione d’interesse è, pertanto, quanto siano diffusi i nuclei familiari che autoproducono cibo e bevande esclusivamente a fini di consumo personale. Va notato che l’indagine rileva il valore dei beni auto-prodotti, ma non le motivazioni dell’auto-produzione; non è perciò possibile stabilire se, cioè, esse siano di natura volontaria (ad esempio, per trascorrere il tempo libero, per diffidenza verso i prodotti di mercato o per diffusione della cultura vegetariana) oppure involontaria, legate cioè alla difficoltà ad acquisire i beni sul mercato.

La distribuzione in Europa dell’auto-produzione risulta fortemente eterogenea fra paesi. All’interno dell’Eurozona, ad esempio, la quota di famiglie che producono cibo per autoconsumo è vicina allo zero in Irlanda, ma eccede il 30% in Portogallo (figura 1). La quota di “auto-produttori” tra il 2010 e il 2013 è, in generale, rimasta sostanzialmente stabile. Più precisamente essa ha conosciuto un lieve aumento in tutti i paesi, con l’eccezione di Italia e Grecia dove, contrariamente a quanto forse ci si potrebbe aspettare, è diminuita, pur restando sempre su valori elevati.

Va ricordato che l’analisi non riguarda tutti i paesi dell’Eurozona perché Eurostat suggerisce di non includere i paesi in cui il valore dei beni prodotti per autoconsumo non costituisce una componente significativa del reddito nazionale o, almeno, di quello di particolari gruppi classificati in base al reddito. Per questo motivo sono esclusi il Benelux e la Finlandia (oltre che, al di fuori dell’Eurozona, gli altri paesi scandinavi e la Gran Bretagna).

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Il quadro muta radicalmente quando si osservano i paesi dell’Est Europa (figura 2), dove la quota di famiglie dedite all’autoproduzione alimentare risulta significativamente più alta, con valori addirittura superiori al 50% nella Repubblica Ceca e in Slovenia.

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Tornando ai paesi dell’Eurozona, è interessante anche valutare la variazione del valore medio, per paese, dei beni alimentari prodotti per l’autoconsumo (figura 3).Sebbene, come si è visto, le quote di famiglie dedite all’autoproduzione siano rimaste sostanzialmente costanti il valore medio annuale dei beni prodotti (valutati in parità dei poteri d’acquisto e in base alle scale di equivalenza familiari) da parte di chi si dedica all’auto-produzione è aumentato sensibilmente: esso è più che raddoppiato in Francia e Germania e in Portogallo, dove, come si è già detto, circa il 30% della popolazione pratica l’auto-consumo, e il valore medio annuo dei beni auto-prodotti eccede gli 800 euro equivalenti. In generale, nei paesi considerati, il valore medio equivalente dell’auto-consumo dei membri delle famiglie interessate a tale attività è aumentato fra il 2010 e il 2013 da 260 a 440 euro circa.

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Come si è detto, i dati EU-SILC non permettono di individuare le ragioni dell’incremento del valore dell’auto-produzione e quindi, in particolare, di stabilire se se esse siano riconducibili a scelte volontarie o a vincoli economici. Per valutare quanto i vincoli economici incidano nell’accesso al cibo si può, però, far uso di un’altra variabile rilevata in EU-SILC, ossia la quota di famiglie che dichiara di non essere in grado di consumare un pasto proteico a base di carne, pollo, pesce o equivalente vegetariano almeno una volta ogni due giorni. Tale variabile tiene conto dell’impossibilità di far fronte alla spesa alimentare sia con mezzi propri che a debito (mediante credito al consumo o prestiti di familiari o amici). Nella figura 4 si mostra l’andamento della quota di famiglie che dichiarano di incontrare questa difficoltà nei paesi dell’Europa a 15 fra il 2007 e il 2013.

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In alcuni paesi, in primis Grecia e Italia, ma anche Regno Unito, l’incidenza della grande recessione sulla quota di famiglie in deprivazione alimentare risulta tangibile: in Italia, tale quota è, ad esempio, aumentata dal 6 al 15% fra il 2010 e il 2012. Negli altri due paesi del Sud Europa, Spagna e Portogallo essa risulta molto più limitata ed è rimasta sostanzialmente stabile dall’avvio della grande recessione. Viceversa, nei paesi germanofoni il tasso di deprivazione alimentare delle famiglie è , forse inaspettatamente, relativamente alto.

Come atteso, il quadro si aggrava nei paesi dell’Est Europa (figura 5): in Ungheria e Lituania nel 2013 addirittura il 35% delle famiglie dichiarava di incontrare difficoltà ad accedere ad un pasto di contenuto proteico adeguato almeno una volta ogni due giorni.

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Tirando le fila, da questi dati sembra emergere che i paesi europei si muovano a diverse velocità anche in tema di povertà alimentare e scelte di autoconsumo. Si delinea, infatti, una polarizzazione tra le società scandinave, poco colpite dalla deprivazione alimentare e poco interessate all’autoproduzione alimentare, e quelle dell’Europa Orientale, caratterizzate da andamenti opposti, mentre gli altri paesi europei sono più eterogenei rispetto alla vulnerabilità nutritiva e al ricorso all’autoproduzione alimentare. Di sicuro, nell’area dell’Europa a 15 resta preoccupante l’aggravamento della povertà alimentare in alcuni paesi seriamente provati dalla crisi economica, come Italia, Grecia e Regno Unito. Sembra quindi stupefacente come, in anni di sovraesposizione mediatica e istituzionale intorno ai temi del food, declinato in maniera sexy all’anglosassone, permanga ben al di fuori dal dibattito pubblico la questione dei cittadini europei che, per usare un eufemismo alla Eduardo Scarpetta, devono arrangiarsi a mangiare pane e salsiccia senza pane e senza salsiccia.

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