Casa cara casa: l’impatto delle politiche abitative

Virginia Maestri si occupa di politiche abitative e ne esamina le conseguenze, soprattutto sotto il profilo redistributivo, nel nostro paese in confronto con altri due paesi: il Regno Unito e l’Estonia. L'analisi, che considera sia le politiche fiscali sia i sussidi, mette in luce la sostanziale ineffiacia delle politiche italiane nel ridurre la povertà e la disuguaglianza in contrasto con quanto avviene negli altri due paesi. In considerazione di ciò, Maestri conclude richiamando la necessità di riformare il complesso delle politiche abitative.

La crisi iniziata nel 2007 ha messo a nudo diverse vulnerabilità dei sistemi economici, incluse quelle che riguardano le politiche per la casa. Nei decenni passati, la casa ha acquistato sempre più importanza, come dimostra l’incremento sia del prezzo delle abitazioni sia degli affitti. Varie politiche hanno contribuito a questi andamenti: la deregolamentazione del sistema finanziario, l’innovazione dei prodotti ipotecari, il trattamento fiscale favorevole della proprietà, inclusi gli sgravi fiscali sui mutui, i bassi tassi di interesse e la (spesso) mancata tassazione delle plusvalenze sulle transazioni immobiliari.

All’origine della crisi finanziaria, peraltro, c’è il collasso di un sistema di speculazioni finanziarie basate sui mutui per l’acquisto dell’abitazione. In un contesto di crescente disuguaglianza dei redditi, l’aumento dell’indebitamento delle famiglie ha permesso a molti di godere di un elevato, ma illusorio, benessere economico. Le conseguenze dell’esplosione del sistema sono state, tra le altre, il collasso del settore immobiliare, l’incremento dei pignoramenti e degli sfratti, il diffondersi del disagio abitativo, anche per effetto della conseguente crisi occupazionale.

Anche alla luce di questi drammatici effetti appare del tutto opportuna una rivisitazione delle politiche abitative. Queste politiche hanno molteplici fini: incentivare la proprietà della casa, sostenere l’impiego nel settore edilizio, favorire la raccolta di entrate fiscali e anche contrastare povertà e disuguaglianza. All’impatto redistributive delle politiche abitative (che includono la tassa sulla proprietà, gli sgravi sul mutuo e sulle ristrutturazioni e i sussidi per la casa) sono dedicate queste note che sintetizzano un mio più ampio contributo (“Case e politiche abitative: effetti su povertà e disuguaglianze in Italia, Estonia e Regno Unito” in “La casa, il benessere e le disuguaglianze” a cura F. Farina e M. Franzini, 2015). Il riferimento principale è all’Italia ma si effettueranno comparazioni con due paesi che presentano caratteristiche istituzionali e strutturali piuttosto diverse da quelle del nostro paese.

L’Italia è un tipico esempio di regime mediterraneo, caratterizzato da un alto livello di proprietà della casa favorita, soprattutto nei decenni passati, da vari incentivi più o meni diretti e una spesa irrilevante per altri sussidi. La quota dei proprietari di casa senza un mutuo a proprio carico (60%) è notevolmente più alta che nei paesi del Nord Europa (dove i proprietari con un mutuo rappresentano invece una parte considerevole della popolazione), ma più bassa di quelli dell’Est. Questo stato di cose è dovuto solo in parte alla struttura demografica e familiare italiana.

Le entrate fiscali dalla tassa sulla proprietà (inesistente fino al 1992) sono state inferiori alla media europea fino all’introduzione dell’IMU sotto il governo Monti nel 2012. In quell’anno le entrate della cosiddetta tassa sulla proprietà sono più che duplicate e l’Italia ha raggiunto il quarto posto per entrate fiscali dopo Regno Unito, Francia e Danimarca. Tuttavia, questa tassa rimane soggetta a un’estrema incertezza nel panorama italiano: parzialmente sospesa nel 2013 dal governo Letta è stata trasformata in due tasse sui servizi connessi all’abitazione principale, TARI e TASI, con l’ultima recentemente abolita dal governo Renzi, mentre l’IMU rimane per le “seconde” case.

Queste tasse sono da definirsi tasse sui servizi più che tasse sulla proprietà. Difatti il legame tra l’ammontare di queste tasse e il valore dell’immobile è limitato da vari fattori: dal fatto che la tassa dipende dalla residenza più che dall’effettivo valore immobiliare complessivo delle famiglie, dal mancato aggiornamento dei valori catastali (che non equivale ad un aumento proporzionale di tutti i valori catastali del 60% come si è fatto in tempi rapidi al momento dell’introduzione dell’IMU), dal fatto che gli inquilini possono essere chiamati a contribuire al pagamento della TASI fino ad un ammontare pari al 30% e dal fatto che solo in alcuni comuni le detrazioni tengono conto della situazione reddituale e della ricchezza delle famiglie.

D’altra parte, il rigido sistema creditizio italiano, unito a una politica limitata di sgravio sui mutui, ha impedito che l’ indebitamento delle famiglie per l’acquisto della casa, pur in crescita, restasse contenuto (diversamente da altri paesi del Nord Europa, come l’Olanda e la Danimarca, dove l’indebitamento privato è superiore al 200% del PIL).

Per quanto riguarda le spese per i sussidi per la casa, l’Italia si colloca in una posizione nettamente inferiore alla media europea, destinando solo lo 0.02% del PIL a questa voce di spesa. Inoltre, l’Italia si caratterizza per un’interpretazione particolare delle politiche a sostegno del disagio abitativo: in alcune regioni tra queste politiche sono inclusi i buoni casa, ovvero vouchers principalmente destinati all’acquisto delle casa per giovani coppie (sposate).

L’analisi mostra l’assenza di un impatto redistributivo in Italia delle politiche abitative, mentre queste ultime riducono la povertà in Estonia e sia la povertà sia la disuguaglianza nel Regno Unito, dove l’impatto di una tassa sulla proprietà di fatto regressiva, è contrastato dalla previsione di una riduzione per le famiglie a basso reddito. L’Estonia vanta invece una politica di supporto al reddito che tiene conto delle spese per l’abitazione delle famiglie, che riesce a ridurre in modo efficiente, seppur limitato a causa della ridotta spesa pubblica per questa politica, la povertà.

La peculiarità italiana è rappresentata dall’alto tasso di proprietari di casa (anche tra le famiglie meno abbienti), che sembra rendere non necessario un sostanziale intervento pubblico in questo campo. L’inclusione del vantaggio economico derivante dall’ essere proprietari – o di pagare un affitto al di sotto dei prezzi di mercato (misurato dai fitti imputati) – nel concetto di reddito disponibile generalmente riduce la povertà, poichè i fitti imputati hanno una distribuzione più equa rispetto al reddito. Per fare un esempio, essere proprietari migliora la posizione economica di alcune famiglie a basso reddito (soprattutto pensionati). Tuttavia, la riduzione della povertà e della disuguaglianza dei fitti imputati in Italia è più limitato che, ad esempio, in Estonia. Nel Regno Unito i fitti imputati hanno un considerevole impatto redistributivo, grazie all’elevata spesa pubblica nell’housing sociale.

La casa rimane la principale fonte di ricchezza o la più consistente voce di spesa per la maggior parte delle persone e resta una questione cruciale sia in momenti di crisi che di boom economico (si ricordi l’insufficienza di stock abitativo nelle principali città del Nord Italia durante gli anni ’60 e la costruzione dei quartieri dormitorio per i migranti). Tuttavia, le politiche abitative seguite negli ultimi decenni nella maggior parte dei paesi OCSE non sembrano essere giustificate nè secondo un criterio di efficienza né di equità. Se, da un parte, il trattamento fiscale favorevole della casa ha permesso di accumulare ricchezza anche ai segmenti non necessariamente più ricchi della popolazione, dall’altro la crisi recente ha mostrato come gli incentivi fiscali all’indebitamento rendano vulnerabile l’interno sistema economico.

Anche se l’obiettivo delle politiche abitative non è necessariamente quello redistributivo, il mancato impatto sulla povertà e sulla disuguaglianza delle politiche abitative italiane suggerisce alcune riflessioni. Nei paesi in cui, come in Italia, la tassazione sul lavoro è elevata, spostare il carico fiscale dal lavoro alla ricchezza è una delle vie percorribili. Tuttavia, l’attuale (e le passate) forme di tassazione della proprietà non sembrano ottimali. Una razionalizzazione delle detrazioni e un rafforzamento del legame con la situazione reddituale delle famiglie potrebbe essere più utile. Considerando i problemi di liquidità delle famiglie a basso reddito tra cui molto pensionati, un’altra opzione (forse meno percorribile data l’incertezza delle scelte in questo campo), potrebbe essere il posticipo del pagamento di questa tassa al momento in cui la proprietà viene ereditata o venduta, come già sperimentato in Danimarca. Servirebbe inoltre, come notato da più parti, l’aggiornamento dei valori catastali. Infine, in un contesto di budget limitato occorrerebbe valutare se lo sgravio per le ristrutturazioni stimoli effettivamente il settore edilizio o se questo sussidio (di fatto) a famiglie non povere sia da trasformare in un sussidio monetario di altro tipo, ad esempio in una forma di sostegno al reddito delle famiglie in momenti di temporanea difficoltà.

* Questo articolo si basa sul capitolo “Case e politiche abitative: effetti su povertà e disuguaglianze in Italia, Estonia e Regno Unito” del volume “La casa, il benessere e le disuguaglianze” curato da F. Farina e M. Franzini.

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