Buone intenzioni, cattivi esiti: i limiti della DIS-COLL

Claudia Pratelli analizza la DIS-COLL, l'indennità di disoccupazione rivolta a collaboratori coordinati e continuativi e a progetto introdotta con il riordino degli ammortizzatori sociali. Dopo averne descritto le caratteristiche, Pratelli ricorda che la DIS-COLL ha il pregio di rivolgersi a lavoratori in precedenza privi di tutele ma ne mette in luce anche i punti deboli che riguardano l’esclusione, difficile da comprendere, di alcune tipologie di collaboratori e la ridotta generosità delle prestazioni.

Nell’intervento di riordino del sistema degli ammortizzatori sociali (decreto legislativo n. 22/2015), accanto alla più nota NASPI (Nuova Assicurazione per l’Impiego) rivolta ai lavoratori dipendenti, di cui si è occupato sul Menabò Raitano, è stata istituita la DIS-COLL, un’indennità di disoccupazione destinata ai collaboratori coordinati e continuativi e a progetto, che dovrebbe finalmente sanare una delle più eclatanti distorsioni distributive del sistema di welfare italiano: la sostanziale assenza di misure di sostegno al reddito di questi soggetti, che sono i più esposti al rischio disoccupazione e economicamente molto vulnerabili.

In questa nota illustreremo la DIS-COLL mettendone in rilievo anche i limiti sotto il profilo dell’equità che riguardano principalmente la delimitazione della platea dei beneficiari e la sua scarsa generosità, rispetto sia alla durata della fruizione, sia agli importi.

Come la NASPI, di cui può essere considerata la parente povera, la DIS-COLL consiste in un’indennità mensile di importo massimo di 1.300 Euro (precisamente pari al 75% della retribuzione precedente se non superiore a 1.195 euro, cui si aggiunge il 25% delle somme eventualmente eccedenti tale importo, ridotto del 3% al mese a partire dal quarto mese di fruizione). La DIS-COLL ha, però, una durata massima di 6 mesi (in quanto è pari alla metà dei mesi per i quali è stata versata contribuzione nell’anno precedente il verificarsi della disoccupazione). ben inferiore  a quella prevista per la NASPI, per la quale si prende come riferimento il quadriennio precedente.

Per accedere alla DIS-COLL è necessario che si sia in stato di disoccupazione, si siano versati almeno tre mesi di contributi a partire dal 1° gennaio dell’anno solare precedente la fine del contratto e si sia lavorato almeno un mese nei 12 mesi precedenti al verificarsi della disoccupazione. Inoltre, a differenza degli altri istituti di protezione sociale, la DIS-COLL é finanziata dalla fiscalità generale e non prevede contribuzione figurativa.

La DIS-COLL sostituisce la tanto discussa misura “una tantum” rivolta ai collaboratori a progetto introdotta da Tremonti e Sacconi con la Finanziaria 2008 e più volte modificata (l’ultima volta dalla legge 92/2012), che prevedeva criteri di accesso estremamente bizantini ed escludenti (per fare solo un esempio non si rivolgeva ai collaboratori del pubblico impiego). Che i requisiti di accesso fossero restrittivi è dimostrato dal fatto che solo una minima parte dei pochi fondi stanziati è stata spesa: circa 74 dei 200 milioni di Euro stanziati, nel 2009, secondo i dati INPS al 31/03/2013. In totale, in anni in cui la crisi economica si è abbattuta in primis su chi lavorava mediante collaborazioni, sono state acquisite dall’INPS solo 70.016 domande e, di queste, non più di 26.587 sono state liquidate (il 37% del totale).

E’ inutile sottolineare che rispetto all'”una tantum” la DIS-COLL costituisce un progresso perché la platea dei beneficiari è più ampia.  Tuttavia, gli  esclusi sono ancora molto numerosi e, soprattutto, non sempre è facile comprendere le ragioni della loro esclusione. Perché, in particolare, ci sono tante esclusioni fra i parasubordinati?

I collaboratori, infatti, sono la categoria più nota all’interno di un popolo assai vasto e frastagliato che non ha mai beneficiato degli ammortizzatori sociali di tipo assicurativo (anche perché i datori su tali contratti non versano alcun onere contributivo) e che rischia di rimanere, in buona parte, escluso anche dalla fruizione della DIS-COLL. Stando alla lettera del decreto, e a meno che non intervenga un’interpretazione estensiva da parte dell’INPS, i destinatari della misura sono i soli collaboratori coordinati e continuativi e a progetto.

Di questo popolo è possibile ricostruire i contorni a partire dai dati forniti dalla Gestione Separata INPS che tiene conto degli iscritti alla Gestione con almeno un versamento annuale. Si tratta di un mondo esploso sul finire degli anni ’90, che rimane di rilevante numerosità nonostante la contrazione  dovuta soprattutto alla riduzione dei contratti di collaborazione a progetto negli anni della crisi economica (Tabella 1).

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Peraltro, la platea dei parasubordinati è fortemente articolata al suo interno (Tabella 2). Se si escludono gli amministratori e i sindaci di società, che godono di condizioni occupazionali e trattamenti economici favorevoli – gli altri soggetti  ricevono in media compensi limitati. Per fare qualche esempio, l’Osservatorio sui Lavori dell’Associazione XX Maggio stima (sulla base dei dati Inps) che il compenso medio lordo annuo dei co.co.co. nel 2013 sia stato di 10.109 Euro; quello degli assegnisti di ricerca, dottorandi e borsisti di 13.834 Euro; quello dei collaboratori a progetto di 10.218 Euro; quello degli associati in partecipazione di  8.446 Euro.

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Esclusi, dunque, amministratori, sindaci, partecipanti a collegi e commissioni, così come gli amministratori locali, rimarrebbero fuori dalla platea dei beneficiari della DIS-COLL i parasubordinati non collaboratori coordinati e continuativi o a progetto, ovvero 200.000 persone, la maggior parte dei quali iscritti in via esclusiva alla gestione separata e sottoposti alle stesse aliquote di contribuzione previdenziale dei co.co.co e co.pro.

Tra questi, circa 80.000 lavorano mediante quelle forme parasubordinate che sono specifiche di alcuni comparti pubblici, quali Università ed Enti di Ricerca: assegni di ricerca, borse di ricerca e di dottorato e specializzazioni mediche.

In particolare i ricercatori “non strutturati”, già penalizzati dal pluriennale blocco del turn over e del taglio di risorse che impedisce loro di entrare in ruolo, si troverebbero nell’impossibilità di ricevere un’indennità, seppur minima, al termine del periodo di durata della borsa di studio o dell’assegno di ricerca.

Come già detto, per quanto riguarda i parasubordinati non collaboratori, è però ancora possibile, e sicuramente auspicabile, un’interpretazione estensiva da parte dell’INPS che consenta l’allargamento della platea dei beneficiari. Un intervento di questa natura sarebbe senz’altro significativo.

Per rimanere nell’ambito dei contribuenti alla Gestione Separata INPS, al computo degli esclusi dalla DIS-COLL vanno aggiunti – in questo caso senza alcun margine per una diversa interpretazione – i professionisti titolari di Partita IVA (ovvero i professionisti che non versano contribuzione alla cassa previdenziale gestita dal proprio ordine professionale). E il numero di “Partite IVA” è cresciuto negli anni e nel 2013 ha superato quota  290.000 (Tabella 3). Peraltro, la sistematica esclusione di tali figure – sempre più numerose e molto fragili – dai dispositivi di protezione pare trasversale a governi di diverso colore politico.

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Un altro limite della DIS-COLL è la sua scarsa generosità che è dovuta in parte alla parametrazione degli importi alla media dei compensi precedenti che abbiamo visto essere poco consistenti e in parte alla sua durata che, come si è detto, non può superare i sei mesi. Un ulteriore elemento di debolezza va rintracciato nell’assenza di contribuzione figurativa, che deprimerà ulteriormente le già limitate prestazioni previdenziali attese da tali lavoratori.

Infine, i percettori della DIS-COLL, per ragioni ignote ma presumibilmente di cassa, non sono compresi tra i potenziali fruitori dell’ASDI, l’altra novità in tema di ammortizzatori sociali introdotta dal Jobs Act; si tratta di un assegno di disoccupazione means tested pagato per 6 mesi e diretto a chi ha esaurito il periodo di fruizione della NASPI senza avere trovato una nuova occupazione. L’ASDI, peraltro, disporrà di un finanziamento molto limitato (200 milioni di Euro l’anno nel 2015-2016).

L’ultimo aspetto da considerare è quello della numerosità della platea di collaboratori una volta che verrà approvato il decreto delegato del Jobs Act relativo al riordino delle tipologie contrattuali parasubordinate. Al riguardo, ci si deve, però, limitare a porre la questione, dal momento che non è chiaro se la soppressione delle collaborazioni a progetto nella loro attuale configurazione determinerà una trasformazione degli attuali contratti a progetto in contratti di tipo subordinato, come promette il Governo, oppure in nuove co.co.co o in “Partite IVA”.

In conclusione sono troppe le figure che rimangono fuori dai confini della DIS-COLL ed è troppo esigua la sua capacità di protezione. Per questo si può dubitare che essa risolverà il problema della discriminazione dei più precari tra i precari e che metterà fine all’asimmetria nella protezione che caratterizza il mercato del lavoro italiano. Per ottenere questi scopi appaiono necessari strumenti unificanti inseriti in un sistema universale capace di includere tutti in base alle stesse regole.

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