Assicurazione europea contro la disoccupazione e stabilizzazione macroeconomica

Andrea Brandolini, Francesca Carta e Francesco D’Amuri sostengono che anche all’interno degli assetti attuali dell’Unione europea, è possibile concepire un istituto di assicurazione europea contro la disoccupazione che, da un lato, abbia una funzione di stabilizzazione macroeconomica e, dall’altro, eviti una redistribuzione persistente di risorse dalle economie più competitive verso quelle strutturalmente più deboli. Secondo gli autori, se ben congegnato, questo istituto rappresenterebbe un meccanismo di solidarietà tangibile tra i cittadini europei.

La crisi dei debiti sovrani che ha colpito l’Europa nel 2011 ha evidenziato la difficoltà di attuare politiche di bilancio anticicliche all’interno di un’unione monetaria in cui i governi nazionali abbiano spazi di manovra limitati. Per alleviare questi vincoli, con ricadute positive per tutti i paesi membri vista l’interdipendenza delle loro economie, si potrebbe introdurre un meccanismo di assicurazione tra paesi contro i rischi associati a shock asimmetrici. È un’idea presente da tempo nel dibattito sul processo di unificazione europea, fin dalle proposte delle commissioni presiedute da Marjolin e MacDougall negli anni Settanta e da Delors nel decennio successivo, rilanciata più di recente dai rapporti del Presidente del Consiglio europeo in collaborazione con i Presidenti della Commissione Europea, dell’Eurogruppo e della BCE “Verso un’autentica Unione economica e monetaria”, del dicembre 2012, e “Completare l’Unione economica e monetaria dell’Europa”, del giugno 2015. La realizzazione di un meccanismo fiscale automatico di stabilizzazione si scontra con i timori che, da un lato, esso possa incoraggiare comportamenti opportunistici e disincentivare la realizzazione di riforme strutturali a livello nazionale e, dall’altro, possa comportare una redistribuzione persistente di risorse dai paesi dotati di un sistema produttivo più competitivo verso quelli strutturalmente più deboli.

Questi timori sono probabilmente eccessivi. Come abbiamo mostrato in uno studio recente (“A feasible unemployment-based shock absorber for the euro area”, Banca d’Italia, Questioni di Economia e Finanza, n. 254 ), è possibile concepire anche all’interno degli assetti attuali un’assicurazione europea contro la disoccupazione che abbia una funzione anticiclica. Questo meccanismo prevederebbe trasferimenti da un fondo sovranazionale ai singoli paesi colpiti da uno shock recessivo di entità pari alla spesa che ciascun paese dovrebbe sostenere per pagare un ipotetico sussidio di disoccupazione definito secondo criteri comuni europei. Rispetto allo stanziamento di aiuti economici ad hoc, lo schema avrebbe il vantaggio di essere meno soggetto a discrezionalità politica sia nell’ammontare sia nell’attivazione dei trasferimenti, essendo commisurato a uno specifico shock connesso al ciclo economico come la perdita dell’occupazione.

Per limitare i possibili comportamenti opportunistici dei governi nazionali e degli individui, i trasferimenti potrebbero essere limitati alla spesa necessaria a coprire sussidi di disoccupazione di durata e generosità contenuta, escludendo così la disoccupazione di lunga durata, ed essere eventualmente attivati solo in caso di shock macroeconomici negativi di entità elevata. Prendendo come riferimento non tutte le persone in cerca di un impiego ma solo quelle che nel loro paese hanno diritto a ricevere un’indennità di disoccupazione, i flussi finanziari generati dallo schema non riprodurrebbero necessariamente gli andamenti del tasso di disoccupazione. Infatti, a parità di numero di disoccupati, lo schema beneficerebbe di più i paesi dove sono maggiori l’incidenza dell’occupazione dipendente, poiché i lavoratori autonomi non sono generalmente coperti dai sussidi, il tasso di turnover e la disoccupazione di breve durata. Nel rispetto del principio di sussidiarietà, gli istituti nazionali di assicurazione contro la disoccupazione rimarrebbero immutati e non sarebbero sostituiti da quello europeo. Infine, per evitare una redistribuzione permanente tra paesi si può fissare l’aliquota di finanziamento del fondo per ciascun paese in modo tale da eguagliare i trasferimenti ricevuti ai contributi versati durante un periodo predefinito. Nel caso in cui, invece, si accettasse un trasferimento di risorse dai paesi in posizione ciclica più favorevole a quelli colpiti da shock negativi, in cui sono maggiori le cessazioni di rapporti di lavoro, l’aliquota potrebbe essere unica per tutta l’area e tale da mantenere in equilibrio nel lungo periodo il fondo nel suo complesso anziché le posizioni di ciascun paese.

Abbiamo simulato numerosi schemi di questo tipo, differenziandoli per caratteristiche quali la durata e l’entità del sussidio, l’ampiezza della platea dei potenziali beneficiari o le aliquote contributive nazionali, per valutarne la capacità di stabilizzazione macroeconomica e la redistribuzione tra paesi che vi si assocerebbe. Questi esercizi ipotizzano che ciascuno schema simulato fosse pienamente operativo nel periodo 2002-2012, o in vari sottoperiodi, nei paesi dell’area dell’euro e calcolano i pagamenti e i contributi che esso avrebbe implicato dato il profilo storico della disoccupazione; gli effetti macroeconomici sono quindi stimati utilizzando i moltiplicatori comunemente utilizzati dalla Commissione Europea nei propri esercizi previsivi.

I risultati delle simulazioni indicano che un’assicurazione europea contro la disoccupazione che abbia le caratteristiche appena descritte può svolgere una funzione anticiclica non trascurabile, a fronte di un trasferimento tra paesi molto limitato. Anche senza redistribuzione tra paesi, sarebbe possibile ottenere un livello di stabilizzazione pari a un settimo di quanto già consentito dalla correzione per il ciclo del saldo di bilancio prevista dalle regole europee; tale livello sarebbe quasi raddoppiato qualora si permettesse una minima redistribuzione tra paesi, con un esborso inferiore allo 0,1 per cento del proprio PIL per il maggior paese contribuente. Nel periodo 2002-2012, i principali beneficiari sarebbero stati la Spagna e in misura minore il Portogallo (v. Figura 1). L’Italia sarebbe stata tra i principali finanziatori, nonostante il recente marcato aumento del tasso di disoccupazione, perché si caratterizza per una maggiore incidenza sia del lavoro autonomo sia della disoccupazione di lunga durata. Anche Francia e Germania sarebbero stati contribuenti netti. La stima della direzione dei flussi finanziari è tuttavia molto sensibile al periodo di simulazione esaminato: considerando ad esempio il periodo 2002-2008, precedente alla crisi finanziaria globale, anche Germania e Finlandia sarebbero stati, insieme alla Spagna, tra i beneficiari.
brandolini

L’introduzione di questo meccanismo potrebbe generare vari effetti indiretti positivi. Da un lato, per godere pienamente dei trasferimenti spettanti al paese, le autorità nazionali sarebbero spinte a migliorare l’utilizzo effettivo dei sussidi da parte dei potenziali beneficiari, su livelli particolarmente bassi nell’Europa meridionale. Dall’altro, sarebbero incentivate ad armonizzazione i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione, riducendo l’attuale livello di frammentazione e quindi i conseguenti limiti alla riallocazione dei lavoratori all’interno dell’area. L’introduzione di uno schema basato sulla perdita dell’impiego potrebbe tuttavia spingere i paesi ad abbandonare gli ammortizzatori sociali in costanza di rapporto di lavoro, come la Cassa Integrazione Guadagni in Italia o il Kurzarbeit in Germania, che hanno avuto un ruolo importante nel contenere gli effetti negativi delle crisi economiche negli ultimi anni.

Lo schema di assicurazione europea contro la disoccupazione qui proposto è soprattutto uno strumento di protezione rispetto a fasi negative del ciclo economico. Se ben congegnato, avrebbe tuttavia il merito, tutt’altro che secondario in una fase di crescente scetticismo sul processo di integrazione europea, di rappresentare un meccanismo di solidarietà tra i paesi dell’Unione visibile e tangibile per i cittadini.

* Banca d’Italia, Dipartimento di economia e statistica. Le opinioni qui espresse sono personali e in nessun modo possono essere attribuite alla Banca d’Italia.

** Questo articolo è pubblicato anche su lavoce.info

 

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