A rischio di austerity. La Francia vista da Bruxelles

Aster illustra il caso della Francia che, in base a molti indicatori, è uno dei Paesi dell’area dell’euro meno colpiti dalla crisi. Ciò nonostante, essa rischia, secondo le ultime valutazioni della Commissione europea, di essere sottoposta ai meccanismi correttivi della Macroeconomic Imbalance Procedure, a causa della scarsa competitività internazionale e del peggioramento di altri indicatori. Aster ricorda che per evitare questo rischio la Francia dovrebbe riformare rapidamente il mercato del lavoro e ridurre la spesa sociale

Tra il 2008 e il 2009 il Pil è caduto del 5,6% in Germania, del 5,5% in Italia, del 3,6% in Spagna e del 4,5% nell’area dell’euro. In Francia l’impatto immediato della crisi è stato decisamente meno severo: in quello stesso anno il Pil si è ridotto “soltanto” del 2,9%; inoltre, la successiva ripresa è stata abbastanza rapida. Già nel 2011 il Paese aveva recuperato i livelli di Pil procapite precedenti la crisi. Inoltre, malgrado il tasso di crescita sia stato decisamente modesto negli ultimi tre anni, una piccola ma significativa accelerazione è prevista nel biennio 2015-2016 (1,0% e 1,8% rispettivamente). Questi risultati positivi, almeno in chiave comparata, non sembrano però sufficienti per mettere la Francia al riparo dal rischio di dover subire dosi consistenti di austerità per iniziativa di Bruxelles. Vediamo perché.

Il successo francese, secondo quanto riconosciuto dalla stessa Commissione europea, è in buona parte attribuibile alla politica di deficit spending e al sostegno alla domanda interna fornito dai cosiddetti stabilizzatori automatici: nel corso del 2009, infatti, la spesa pubblica in rapporto al Pil, che era già abbastanza elevata rispetto a molti altri Paesi, è cresciuta dal 53% al 56,8%. Inoltre, sempre nello stesso anno, il deficit pubblico in rapporto al Pil è più che raddoppiato, raggiungendo il 7,5% e il rapporto debito pubblico/Pil, che da circa un decennio seguiva un trend di moderata ma costante crescita, ha conosciuto un aumento esplosivo di circa dieci punti percentuali, toccando il 79%.

Negli anni seguenti, la spesa pubblica ha continuato a seguire una traiettoria crescente ed ha finanziato in modo più generoso interventi a sostegno della famiglia (soprattutto per l’infanzia), dell’istruzione pubblica e per i disoccupati, a favore dei quali sono stati previsti meccanismi di supporto al reddito più generosi e criteri di accesso ai sussidi più ampi. Nonostante l’elevata pressione fiscale (che grava soprattutto sui redditi da lavoro e sulle imprese), dal 2009 in poi il deficit in rapporto al Pil, sebbene ridimensionato, non è mai sceso al di sotto della soglia del 3% (tanto che nel 2009 la Commissione europea ha fatto scattare per Francia la procedura per deficit eccessivo) e il debito ha continuato a crescere ad un ritmo sostenuto, raggiungendo il 95% del Pil nel 2014.

Malgrado questa dinamica dei conti pubblici, il Paese non ha vissuto particolari tensioni nei mercati finanziari. Al contrario, negli ultimi anni il tasso di rendimento sui titoli di Stato a dieci anni è sceso costantemente, toccando i minimi storici: nel marzo del 2015 esso era pari allo 0,51% (contro l’1,29 dell’Italia, l’1,23 della Spagna e lo 0,23 della Germania). I rendimenti sui titoli a breve scadenza (ad un anno e a due anni) sono addirittura divenuti negativi e nell’aprile del 2015 erano pari al -0,18%. In sostanza, oggi c’è chi è disposto a pagare per prestare per qualche tempo soldi allo Stato francese.

Anche il mercato del lavoro, negli anni immediatamente successivi allo scoppio della crisi, ha retto relativamente bene: dal 2008 in poi il tasso di occupazione (che in Italia è sceso di circa tre punti percentuali) è rimasto sostanzialmente costante, anche grazie all’utilizzo di meccanismi analoghi alla nostra cassa integrazione. Negli anni più recenti, il tasso di occupazione ha mostrato un lieve incremento in seguito all’aumento dell’età pensionabile, raggiungendo il 69,9% nel 2014 (contro una media dell’area dell’euro del 68,2%). Inoltre, contrariamente a quanto è avvenuto in Italia, i salari reali, non sono caduti ma sono rimasti sostanzialmente costanti malgrado l’aumento della disoccupazione.

Anche gli indicatori relativi al disagio sociale appaiono, negli ultimi anni, complessivamente migliori di quelli della maggior parte dei Paesi europei, sebbene gli effetti della crisi economica si siano comunque fatti sentire. Il tasso di deprivazione materiale, ad esempio, ha subito fluttuazioni di lieve entità passando dal 12,2% nel 2007 al 12,3% nel 2013, mentre, nello stesso periodo, è passato dal 13,3% al 16,5% nell’area dell’euro (e l’indicatore italiano è aumentato dal 14,9% al 24,0%). Ancora, il tasso di povertà relativa è rimasto sostanzialmente stabile, attestandosi nel 2013 al 13,7% (contro il 19,1% dell’Italia e il 16,6% dell’area dell’euro).

Insomma, da questo insieme di dati sembra molto difficile trarre la conclusione che la Francia rischia di essere il nuovo malato dell’area dell’euro. E invece secondo le ultime valutazioni della Commissione europea le cose starebbero proprio così.

Il motivo è che il Paese presenta squilibri economici considerati eccessivi e, insieme alla Croazia, è lo Stato membro che maggiormente rischia di essere sottoposto ai meccanismi correttivi definiti nell’ambito della Macroeconomic Imbalance Procedure (rischio che non è zero neanche per l’Italia, sebbene, per il momento, le riforme attuate siano state ritenute sufficienti a correggere gli squilibri macroeconomici). Se ciò avvenisse, il Governo francese dovrebbe attuare un importante piano di aggiustamento e andrebbe incontro a sanzioni monetarie in caso di inadempienza. La decisione sarà presa dalla Commissione europea a maggio e dipenderà dall’impegno francese ad attuare le misure di riforma richieste da Bruxelles.

In realtà, il problema dell’economia francese è il crescente squilibrio dei conti con l’estero che si manifesta nel deficit della bilancia commerciale (-1,4%) e nella caduta delle quote di mercato (-13% in cinque anni). La Francia, in sostanza, soffre di scarsa competitività, soprattutto rispetto a Paesi quali la Spagna o la Germania. In un contesto in cui sono peggiorati anche gli altri indicatori che la Commissione prende in considerazione nel valutare lo stato di salute di un’economia (debito pubblico e privato, tasso di disoccupazione), il caso francese appare particolarmente preoccupante alle istituzioni europee.

Le cause degli squilibri francesi sono da ricercare (anche) nelle politiche economiche che hanno permesso al Paese, finora, di non soccombere alla crisi: l’alto costo del lavoro e l’alta imposizione fiscale sulle imprese necessari per finanziare la spesa pubblica; un mercato del lavoro con forti tutele, poco flessibile e basato su meccanismi di contrattazione fortemente centralizzati; l’andamento dei salari relativamente dinamico. Le politiche di deficit spending e di sostegno ai consumi hanno stimolato la domanda di beni importati e, secondo le analisi della Commissione europea, possono avere ridotto i margini di profitto per l’industria, incidendo negativamente sulla capacità di investire e di competere in un mercato globale. In aggiunta, nel Paese si registra una pesante regolamentazione del settore dei servizi, che lo rende poco competitivo.

Bruxelles ha, quindi, raccomandato alla Francia di intraprendere rapidamente una serie di importanti riforme: ridurre la spesa sociale, introducendo ambiziosi target annuali di risparmi di spesa sanitaria, pensionistica e per il sostegno alle famiglie; ridurre la contribuzione sociale a carico delle imprese (senza generare oneri aggiuntivi per le finanze pubbliche); spostare il carico fiscale dalle imposte sul lavoro a quelle indirette e soprattutto sui consumi; ridurre alcune detrazioni fiscali; contrastare le rigidità del mercato del lavoro, modificando i meccanismi di contrattazione salariale e di indicizzazione dei salari minimi; riformare il sistema di sussidi di disoccupazione, in modo da evitare disincentivi alla ricerca di lavoro da parte dei beneficiari. Inoltre, sono state sollecitate riforme volte a liberalizzare i mercati dei prodotti e dei servizi.

Finora, la Francia ha attivato alcune misure in linea con le richieste di Bruxelles. Ad esempio, sono state introdotte forme di riduzione del costo del lavoro e crediti di imposta a favore delle imprese, finanziati principalmente attraverso risparmi di spesa. Ancora, sono stati previsti risparmi nella spesa sanitaria, le retribuzioni dei dipendenti pubblici sono bloccate dal 2010 e il Governo del primo Ministro Valls ha congelato l’importo di alcune prestazioni sociali fino all’autunno 2015. Tuttavia, al momento, non sono state ancora effettuate modifiche al sistema di sussidi di disoccupazione e i margini per derogare agli accordi collettivi rimangono limitati. Una buona parte degli sforzi del Governo si è concentrata su interventi di semplificazione normativa e di liberalizzazione del settore dei servizi e delle professioni (Legge Macron): ad esempio, la possibilità di apertura dei negozi la domenica è stata estesa da 5 a 12 domeniche all’anno nelle città e a tutte le domeniche nei siti turistici (ma è basata sulla partecipazione volontaria dei lavoratori, a cui spetta una compensazione obbligatoria).

Benché le riforme effettuate siano considerate poco coraggiose da Bruxelles, in Francia il malcontento per le politiche del Governo si fa sentire, soprattutto in vista delle intenzioni del primo Ministro Valls di potenziare la contrattazione a livello di impresa. Malgrado il Ministro delle Finanze Sapin abbia assicurato che eventuali riforme del mercato del lavoro dovranno essere gestite all’interno del dialogo sociale e tenendo conto dei bisogni dei lavoratori, i primi di aprile in migliaia hanno manifestato in tutta la Francia al grido “Hollande, Valls, Macron, au service des patrons!”. D’altro canto, Hollande si è impegnato a perseguire una politica di risanamento dei conti pubblici e a ridurre il deficit entro la soglia del 3% del Pil entro il 2017. E’, dunque, il caso di chiedersi se le politiche di austerità siano arrivate anche in Francia e se il modello sociale francese rischi in poco tempo di essere stravolto. Il verdetto di Bruxelles è atteso tra pochi giorni, ma, oramai, la Francia appare stretta tra due fuochi: squilibri macroeconomici e riforme richieste per contrastarli. A quanto pare, l’austerità non ha un suono dolce nemmeno se pronunciata in francese.

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